STEFANIA SAPORA
COGITO ergo SUM.....ergo DIGITO |
Dalla
Dissertazione di Dottorato IX ciclo (1993-96) La
Coscienza come Concreto in Pantaleo Carabellese 1. La
Coscienza come ambiente omnicomprensivo E' molto importante, ai fini
di una giusta comprensione del concetto carabellesiano di
coscienza, che risale al suo periodo critico, sottolineare
innanzitutto che in Carabellese ritroviamo un ribaltamento
della concezione tradizionale della coscienza che voleva
questa come un attributo dell'uomo: tra i suoi obiettivi
vi è infatti quello, ricordiamo, di opporsi all'umanismo antropocentrico[1]
di una lunga tradizione gnoseologica e intellettualistica,
e ciò comporta pure la polemica con una
concezione che vuole
l'uomo come centro della coscienza e della verità: "[...] errore
[...] [è l]'identificazione della coscienza con l'uomo."[2]
Carabellese, appunto in ciò proponendo una lettura metafisica
della Coscienza, ribalta l'ottica affermando
la centralità della Coscienza in se stessa e della
Verità in se stessa: non è la coscienza che appartiene
all'uomo, ma l'uomo alla Coscienza[3]
Fuori dalla Coscienza, per
Carabellese non vi
è nulla: tutto è Coscienza[4], cosicché egli intende
per Coscienza "[...] ciò di cui non v'ha al di
là [...]"[5].
La Coscienza è dunque tutto, il che significa dire, se
si capovolge il punto di vista, che tutto è
coscienza, nel senso che l'essere nella sua
essenza profonda è coscienza, la quale pertanto non viene concepita
come una proprietà della soggettività, sia essa
trascendentale o empirica, ma anzi viene considerata
come l'orizzonte omnicomprensivo sia della soggettività che
dell'oggettività. Carabellese dà alla coscienza un significato
amplissimo: "[...] coscienza non è
solo umanità, e tantomeno solo proprietà
della coscienza umana."[6]
Ciò significa, ed è questo il punto che mi preme
sottolineare pena l'incomprensione del suo concetto di Coscienza,
che Carabellese dà un valore metafisico alla coscienza, che
perciò noi scriviamo, come solo raramente egli
fa, Coscienza, appunto con la lettera maiuscola
per distinguerla da quella coscienza che è
solo un attributo umano. 2. La
Coscienza come essere: l'Essere che sa, il Sapere che è La dottrina della
Coscienza-come-essere o dell'essere-in-quanto-Coscienza, che è
concordemente considerata da molti critici il fulcro del
pensiero carabellesiano e che ci sembra invece di
aver messo in luce sia, oltre che un punto di
arrivo, anche un punto di partenza del suo percorso
filosofico, nel contempo è quella che ha prodotto le
maggiori discordanze in merito alla sua
interpretazione[7].
A questo proposito
è necessario sottolineare che l'interpretazione,
comune a molti critici, della Coscienza
carabellesiana come condizione di possibilità sia
dei soggetti che dell'oggetto in senso trascendentale
incorre nel non lieve pericolo di ridurre il pensiero
carabellesiano ad un orizzonte soltanto trascendentale
che, seppure come vedremo presente in
Carabellese, non esaurisce a nostro parere i livelli
a cui il suo concetto di Coscienza si pone.
Interpretare tale concetto di Coscienza in Carabellese
soltanto come condizione di possibilità di ogni soggettivo
atto di coscienza significa infatti da un
lato porre nel giusto rilievo la matrice kantiana
del suo pensiero[8],
ma dall'altro disconoscere che Carabellese consapevolmente si
pone sulla linea di un oltrepassamento di Kant[9],
almeno il Kant critico. Ma anche questo oltrepassamento
non viene colto a nostro avviso nella sua essenza
più profonda se lo si legge all'interno di una dimensione comunque soggettiva della coscienza,
seppure non più strettamente gnoseologica, ma allargata a
tutte le sfere dell'esperienza dell'uomo. Si vuole
dire che l'abbandono della dimensione gnoseologica che ci
consente, assieme
a Semerari, di parlare di un oltrepassamento
del Kant criticista avviene non soltanto in nome di un semplice
allargamento dalla ragione conoscitiva alle altre
sfere della coscienza umana, come pure si è dato in
altri autori che nel loro itinerario speculativo si sono
rifatti a Kant, bensì attribuendo alla Coscienza
una latitudine specificatamente metafisica[10].
Parlare senz'altro a ragione di un oltrepassamento di Kant,
che significa comunque un porre anche il pensiero di Carabellese
sulla linea di continuità degli sviluppi del pensiero kantiano,
è possibile se si intende il kantismo di Carabellese come
un oltrepassamento della dimensione gnoseologica
che va, oltre che in direzione trascendentale,
metafisica. La
Coscienza carabellesiana, in altre parole, è anche
condizione di possibilità dell'esperienza in senso
trascendentale, ma travalica questo significato, che Carabellese
considera comunque riduttivo per la limitazione della coscienza
a funzione del soggetto. Non interpretare correttamente la
Coscienza nella sua valenza metafisica, pertanto, conduce a nostro
parere a non comprendere in che cosa consista l'ontologismo
critico o ontocoscienzialismo, e che cosa intende Carabellese
quando taccia le filosofie soggettivistiche di
umanesimo e antropocentrismo. Ma occorre dire che lo stesso autore
conduce l'interprete a questo sostanziale travisamento del suo pensiero. La dottrina carabellesiana
della Coscienza risente infatti della
continua trasposizione di piano tra la coscienza
intesa come proprietà del soggetto e la Coscienza
intesa in senso metafisico, che è quella che più specificatamente
connota il pensiero di Carabellese come onto-coscienzialismo. A
proposito del livello metafisico della Coscienza, Carabellese,
sottolineando che è la "via ontologica"
che vuole percorrere (per giungere al livello metafisico), in un
luogo ormai maturo della sua opera, in cui le linee della
metafisica critica erano già tracciate seppure qui
non esplicitate, quasi riecheggiando Parmenide,
dice: "La coscienza, dunque, è ontologica, cioè
sa l'essere, anzi è essere, anzi puramente e semplicemente è."[11]
Riferendosi invece al piano della coscienza soggettiva, in un luogo
precedente della stessa opera argomenta che la vera scoperta che Kant
ci fa fare, e di cui ci si accorge soltanto oggi,
è che "[...] l'essere è lo stesso
essere che è, come tale, nella coscienza, cominciamo cioè
a scoprire il concreto [...]; quell'essere in sé
universale che era già il precritico oggetto del
sapere filosofico vero e proprio, cioè della cosiddetta
filosofia prima, non può non richiedere
la stessa sua universalità nello stesso
sapere; [...] un sapere determinato, che, come
tale, riguarda l'essere universale, pone [...] quell'essere al
di là di sé: ponendolo al di qua, gli darebbe la
sua propria determinazione [...]"[12].
Nonostante questo traslitterare di piani, si è voluto
riportare queste due citazioni perché in
esse, seppure da punti di vista diversi, Carabellese
dà una definizione positiva della Coscienza come essere,
che in molti altri luoghi della sua opera riceve viceversa
una definizione negativa a partire dalla polemica
carabellesiana con quegli indirizzi filosofici che
misconoscono il convergere nella Coscienza di essere e
pensiero. La concezione della Coscienza
come essere infatti, oltre ad aver prodotto notevoli incomprensioni
nella critica, può essere considerata uno dei punti a partire
dai quali si diramano le diverse polemiche che Carabellese
apre con l'idealismo, il realismo non scolastico, l'empirismo,
ecc., nonché l'origine della sua polemica
sul rapporto soggetto-oggetto, che tra poco
vedremo, e dell'accusa di gnoseologismo che muove a quelle
correnti di pensiero. Innanzitutto nella definizione della
sua concezione della Coscienza come essere
Carabellese non poteva non definire
parallelamente la sua concezione dell'essere[13]. Il problema dell'essere,
mentre è assente come abbiamo visto nella coscienza comune perché
implicito, viceversa è fondamentale per la filosofia, che
lo tematizza attraverso tutta la sua storia. Il confronto
con lo sviluppo della storia della filosofia su questo
problema significa per Carabellese, al pari di Heidegger[14],
l'apertura di una polemica
con le diverse concezioni che lungo l'arco di questo
sviluppo si sono date del problema dell'essere.
Secondo Carabellese il problema dell'essere è sempre
stato posto in termini empiristici, ossia come domanda
sull'essere delle cose escludente l'io conoscente,
e ciò ha condotto a quel concetto
assolutamente generalissimo di essere che è il risultato
dell'astrazione da tutti i particolari modi di essere
delle cose. Questo concetto universalissimo è dunque un
concetto vuoto, negativo, un puro nulla[15], cosicché si ha
la contraddizione che affermando l'essere in questi
termini, sia da parte dell'empirismo sia da parte del
razionalismo, lo si nega. Di fronte a queste posizioni,
Carabellese recupera la grandezza di Cartesio
nell'affermare l'intrinsecità dell'Essere
al pensiero e nel portare dentro l'essere l'io non
come cosa tra le cose ma come soggetto conoscente: io
posso conoscere perché sono, se non sono non posso
conoscere. L'importanza di Cartesio consiste anche[16]
nell'affermare la connessione di essere e sapere, di essere e
pensiero[17],
dal momento che l'io è definito come colui il
quale, ponendo la domanda sul proprio
essere, la pone sull'essere in generale. Così
facendo, Cartesio elimina la separazione tra me che
conosco e le cose conosciute, e apre la strada
all'essere concreto, il Concreto, che non è il
risultato di un'astrazione empirica, ma piuttosto
è l'essere di coscienza puro, nel quale io sono con la mia
singolarità piena di essere che sente, vuole, conosce, di
cui abbiamo già visto la vicinanza a Dilthey,
pur nella differenza del progetto complessivo dei due pensatori,
nell'obiettivo comune di opporsi al riduzionismo di una
coscienza intesa solo come ragione conoscitiva[18].
Infatti Carabellese rifiuta la definizione
del suo ontologismo come razionalismo, perché
critica il restringimento della Coscienza a Ragione,
intesa dal punto di vista soggettivo come sola dimostrazione
razionale, ma nel contempo si guarda anche da qualunque
forma di irrazionalismo: "[...] non v'ha filosofia più
antirazionalistica di questo mio concretismo idealistico o ontologismo
critico. Questo, infatti, non solo, ammettendo la diversità
delle forme di coscienza, non limita la coscienza
alla discorsività intellettuale, ma anche,
ammettendo la individuazione dell'essere, non limita la
coscienza alla dimostrazione [perché] è escludere
la singolarità di coscienza; [...] negare
la coscienza concreta. [...] Perciò il nostro non
è né razionalismo né irrazionalismo, perché è concretismo.
Razionalismo e irrrazionalismo sono entrambe posizioni
speculative [...]."[19]
In questa densa definizione del suo idealismo concretistico è
racchiusa, nei suoi vari livelli, tutta la metafisica
carabellesiana che verrà poi alla luce nei corsi dell'ultimo periodo.
Ma l'affermazione
dell'Essere come Pensiero,
sebbene ponga Carabellese da subito di fronte al problema
della soggettività dell'Essere, come ne L'Essere
e il problema religioso, che è del 1914, non lo conduce alle
posizioni dell'idealismo soggettivo, dal momento che Carabellese
intende per soggetto "[...] un'unità di coscienza,
e quindi sentimento, sviluppo, fine, perfezionamento."[20],
ossia uno dei molteplici pensieri in cui l'Essere
si esplica. Dire che l'Essere è Pensiero vuol dire viceversa
per Carabellese che l'Essere è accadere, è attuarsi, è attività,
perché pensiero dell'Essere sono per Carabellese gli
accadimenti del mondo fenomenico[21].
Ma Carabellese è consapevole che risolvere l'Essere nell'accadere
significa avere una concezione panteistica dell'essere, mentre
viceversa porre tra Essere e accadere
una distanza vuol dire averne una concezione ateistica[22]:
qui, in quello che lui stesso definisce il suo periodo precritico,
che va sino al 1915 de La
coscienza morale, Carabellese ancora non ha
trovato quella soluzione che gli consente di porre
una continuità tra l'Essere e l'accadere. Il
problema si pone nei termini di immanenza o trascendenza
dell'Essere, e a questo stadio del suo pensiero, nell'opera
del 1914, Carabellese non sembra risolversi per
una posizione chiara, sebbene affermi l'impossibilità
di una dottrina teistica che implicherebbe quella
trascendenza che per lui qui è propria della
concezione religiosa ma non può
appartenere alla riflessione filosofica[23].
Guardando agli sviluppi metafisici che la concezione
dell'Essere ha in Carabellese, non possiamo non
concordare con le parole
di Ornella Nobile Ventura, che afferma:
"L'Essere è dunque la stessa Coscienza
dell'Essere. [...] l'attività, che è dell'Essere, è nel
contempo dei soggetti che individuano, pensando,
l'Essere; cioè l'attività è dei soggetti concreti, che,
vincolati dalla loro [...] scambievole relatività, sono,
in quanto concreti, la stessa Coscienza. L'Essere nella sua
pienezza è implicito in ciascun soggetto [...]. Questo comune
implicito [...] costituisce la coscienza comune dei
molti [...]"[24].
Dove però è importante non identificare ed esaurire senza residui la
Coscienza dell'Essere nella coscienza dei
soggetti, seppure intesa nella sua implicitezza e universalità
di coscienza comune, né l'Essere
nella Coscienza. Quell'identificazione senza
residui, proprio nell'appiattire il livello
metafisico sul piano dei soggetti, seppure li innalza
come vuole Carabellese al livello metafisico, contro l'antropocentrismo
di coloro che sul piano storico-concreto attribuiscono
soltanto all'uomo la coscienza, non esaurisce né il significato
che Carabellese dà al termine Coscienza, dal momento
che Carabellese contesta
il soggettivismo di coloro che affermano la Coscienza
essere attività che si esplica nei soli soggetti, né i
livelli dell'Essere, di cui uno è la Coscienza. 3. La
Coscienza come Concreto Dall'analisi dell'opera
carabellesiana è possibile affermare
che la Coscienza metafisicamente intesa sia da
Carabellese denominata anche come Concreto, che per lui
ad un determinato livello è un Pensiero che è o un
Essere che sa, dunque un Essere-Pensiero. Perciò il Concreto
come Essere-Pensiero è da un lato espressione
polemica nei confronti del realismo tradizionale che
considera come concreto solo ciò che è
concretamente visibile, dall'altro
nei confronti dell'idealismo soprattutto
soggettivo, accomunati secondo Carabellese dall'errore di scindere
essere e pensiero dando l'uno il primato all'essere, l'altro al pensiero.
L'obiettivo della teoria carabellesiana della Coscienza come
Essere-Pensiero è infatti quello di superare la
separazione dualistica tra essere e pensiero che secondo Carabellese
attraversa tutta la storia della filosofia, per riaffermare
viceversa la concretezza della Coscienza, che è sempre un
Essere che sa, o un Pensiero che è, ossia un implicarsi
vicendevole di essere e pensiero che solo astrattamente possono essere
separati. Il Concreto
carabellesiano implica
anche il concetto tradizionale cui questo termine fa
riferimento, ma per distaccarsene leggendolo metafisicamente
come un Essere che è pensiero o un Pensiero che è
essere, dunque un Essere-Pensiero. Infatti nella
voce Concreto della Grande
Enciclopedia Italiana, pubblicata già nel 1931, e poi ripubblicata
come Appendice nella terza edizione della Critica
del concreto del 1948, nel fare una breve storia del
concetto di concreto a partire dalla sua
apparizione nei secoli XII e XIII con Gilberto Porretano e Duns
Scoto, Carabellese ribadisce il mutamento di
significato cui egli sottopone il termine,
non più designante la cosa particolare esistente nella
pienezza delle sue qualità della tradizione scolastica, ma
neppure l'oggetto sottoposto alle forme spazio-temporali
e categoriali del pensiero kantiano, che lasciava "[...]
al di là della cosa concreta conosciuta, una inconoscibile
cosa in sé [...], ma che comunque sgombra il campo dalla res
in re medievale, per cui "[...] non c'è più, infatti,
un in re che non sia un in mente
[...]"[25].
L'opposizione concreto/astratto non è più sostenibile
per Carabellese, come non è più sostenibile una duplicità di
concretezza, "[...] quella della mente che ha in sé le
cose astratte universali e quella dell'essere che ha in sé
le cose concrete singolari [...]"[26], come Kant ha
dimostrato. Anche nella Risposta a Carlini, in Appendice
all'Idealismo italiano, Carabellese ritorna
sul concetto di Concreto, intendendolo come essere integrale
della Coscienza, un concreto il cui essere oggettivo
deve essere espresso nei giudizi sintetici a
priori metafisici di cui Kant sentiva l'esigenza, ma che secondo
Carabellese non poteva più trovare, avendo identificato
l'oggettività con la fenomenicità[27]. La
coscienza concreta o Concreto
comprende in sé sia dal punto di vista metafisico-soggettivo
sia dal punto di vista
metafisico-oggettivo e l'Universale e il particolare[28],
perché è "[...] l'individuazione soggettiva, cioè molteplice,
dell'Idea, coscienza oggettiva, cioè unica."[29].
Nella chiusa dell'opera Che cos'è la filosofia?, Carabellese
esplicita cos'è la concretezza di Coscienza: non l'astratta
unilateralità che la filosofia ha secondo lui sinora professato, e
che ha fatto sì che si privilegiassero a turno la
ragione o l'intuizione, la realtà o l'idealità
dell'essere, l'esperienza o le idee, ecc.[30].
Tutti questi non sono che lati dell'essere, quell'essere che la
coscienza (soggettiva) sa e non può non sapere nella
sua continua ricerca, quell'essere che è la Coscienza
intesa come "infrangibile e insuperabile concretezza",
"motivo profondo di tutto lo sviluppo del filosofare e
del credere umano", che qualunque cosa sappiano, sanno
sempre l'Essere[31]
, cosicché "L'Essere
sa, il sapere è. Ecco il concreto."[32].
E, così apportando anche un contributo alla definizione della sua
propria filosofia, Carabellese chiarisce: "Questo voglion dire
ontologismo critico, idealismo ontologico, concretismo, idealismo
concreto, ecc.; espressioni tutte che voglion
tutte porre [...] il fondersi, nella coscienza, dell'essere e
del sapere, a costituire la spiritualità
di quell'essere del quale la natura, col suo divenire, è il
fenomeno."[33]
4. I
caratteri della Coscienza: spiritualità ed eternità Proprio perché la Coscienza
è inscindibile rapporto tra Essere e Sapere, essa è
spiritualità: "[...] per essere, non c'è bisogno di
uscire dal sapere; per sapere, non c'è bisogno di
un'attività che non sia lo stesso essere. Cioè: l'essere è
spiritualità."[34]
Ancora, l'essere-come-Coscienza è "[...] concreta
spiritualità, al di là della quale nulla è ammissibile
o concepibile mai."[35]
Di questa spiritualità l'uomo è partecipe, ma
mentre l'umanità si identifica nella sua essenza con la spiritualità
- per cui
Carabellese può dire che l'uomo in quanto pensante è
eterno perché partecipa dell'eternità della spiritualità
-, la spiritualità non si esaurisce nell'umanità, perché
altrimenti si avrebbe nient'altro che una divinizzazione
dell'uomo o una umanizzazione dello Spirito, soluzioni che
ambedue Carabellese rifiuta, riconfermando in ciò il suo
antiumanesimo[36].
Carattere della spiritualità è l'eternità[37]:
proprio perché la latitudine che Carabellese dà alla coscienza
è metafisica, questa "non nasce e non muore",
ossia ha come suo carattere l'eternità, perché
"[...] è impossibile costringere la coscienza entro i
termini del nascere e del morire."[38]
La sua affermazione di una Coscienza come ambiente omnicomprensivo
infatti non poteva che implicare che la Coscienza travalica la
vita del singolo soggetto, il quale più che "avere" la
coscienza come sua proprietà, "è" della Coscienza come sua
espressione: non è possibile identificare Coscienza e vita né
nel senso di esistenza del singolo né nel senso di vita
del soggetto perché la Coscienza come ambiente omnicomprensivo
ha una valenza metafisica che oltrepassa la vita,
è un'ulteriorità spirituale che trascende tutti i singoli
soggetti, e il compito che il filosofo si dà è
di evidenziare la Coscienza nella sua purezza non
asservita al vivere, la superiorità dell'essere sul fenomeno,
della Spiritualità nella sua forma assoluta
che fonda le diverse forme di spiritualità cui è
intrinseca[39].
Nel mettere in evidenza i pericoli dell'equivoco consistente
nell'identificare Coscienza e vita, equivoco che conduce a
subordinare quella a questa rendendo finita la coscienza la
cui eternità invece Carabellese vuole
riaffermare, egli argomenta che certamente la vita
è Coscienza, ma che questa non si esaurisce in quella, che anzi
condiziona[40].
La vita è per Carabellese fenomeno che la Coscienza pura
ricomprende in sé come sua espressione, ed è dal
fenomenismo come pericolo implicito
nell'identificazione di Coscienza e vita che Carabellese intende
distaccarsi. Carabellese, in questo
stesso discorso inedito del 1941 poi stampato
nella seconda edizione del 1942 di Che cos'è la
filosofia?, ossia in pieno periodo metafisico,
fa una distinzione tra coscienza pura, che noi
definiamo Coscienza, e coscienza concreta: questa è
la chiave per comprendere la sua concezione
metafisica della Coscienza nel suo complesso. Infatti afferma:
"[...] [il] filosofo, [...] col religioso, mette in
evidenza la purezza della coscienza, e quindi la superiorità
del sapere a priori sul sapere empirico, la
incondizionatezza condizionante del primo riguardo al secondo;
mette cioè in evidenza la superiorità dell'essere al
fenomeno, dà alla coscienza concreta l'esigenza della sua
purezza."[41].
Al di là della sottolineatura del compito del filosofo, e al
di là pure della sopravvenuta, rispetto al 1914 de L'Essere
e il problema religioso cui prima ci si riferiva, rivalutazione
del rapporto tra filosofia e religione vista non più
dalla prospettiva della mera rappresentazione ma "nella
sua purezza", nonché anche al di là dell'importante
distinzione tra sapere a priori e sapere empirico, ciò che
ci preme di sottolineare qui, pur nell'importanza di queste
altre quattro argomentazioni racchiuse in questa densa
frase carabellesiana, è l'articolazione del problema
della Coscienza. Vi è dunque una "purezza della coscienza",
che noi distinguiamo terminologicamente come Coscienza,
vi è una coscienza concreta, che è quella cui fa riferimento
Semerari quando parla di concreto come "formazione
coeva del dato e della forma" o "concrescenza materiale/formale"
di derivazione masciana, e vi è, non detta ma
implicita nel concetto di "sapere
empirico", una coscienza empirica: è ovvio che solo le
prime due hanno valore metafisico, ed infatti solo delle prime due
Carabellese qui parla. La Coscienza o "coscienza
nella sua purezza" è la Coscienza come ambiente
omnicomprensivo, la Coscienza nella sua spiritualità che tutto avvolge,
o meglio, che è tutto, e al di là della quale non è
nulla. La coscienza concreta è il Concreto dal punto
di vista del soggetto, ossia dal punto di
vista, limitato e relativo, della "formazione coeva del
dato e della forma dell'esperienza": questa coscienza
concreta ha esigenza della sua purezza. Ciò significa
che il punto vista del soggetto, limitato e relativo pur nella concretezza
della sua esperienza, tende verso la purezza della propria
coscienza. A questo compito concreto, quello di
purificare la coscienza soggettiva,
sono chiamate la religione e la filosofia, nelle persone del
religioso e del filosofo. Ma non solo a questo, che è un
compito, seppur ecumenico, secondario. Essi sono chiamati
a "mettere in evidenza la purezza della coscienza",
la coscienza pura, la Coscienza o Concreto o
Essere-Sapere, che fonda il sapere a priori del soggetto, ma
soprattutto che è uno dei livelli dell'Essere. Nel definire la sua concezione
della Coscienza, Carabellese non
poteva non prendere le distanze da quelle
correnti che secondo il suo punto di vista non colgono la
concretezza della coscienza, e che perciò cadono nel
fenomenismo: sia lo spiritualista - compreso lo "pseudo-cristiano
del <<pulvis et umbra sumus>>"[42]
- "[...] che esclude da questo mondo di carne la
spiritualità vera perché la pone soltanto in un mondo
eterno incontaminato dal tempo e dalla corporeità [...]"[43],
sia il materialista che nega la spiritualità e vede il mondo
materiale come eterno sono per Carabellese
incoerenti, perché affermano la spiritualità come
carattere della coscienza empirica, l'uno ponendola in un al di là,
l'altro negandola. Ma se i primi obiettivi
polemici di Carabellese non solo in quest'opera sono il materialismo,
che nega il primato dello spirito sulla materia, e lo
spiritualismo, che pone la spiritualità nell'empiricità,
pure egli non poteva, come abbiamo gia accennato
altrove, non prendere le distanze anche dall'esistenzialismo,
che "[...] condanna gli enti finiti al nulla, alla
morte come loro vero essere, e tra questi enti finiti pone
i pensanti e i riflettenti come tali, i
quali quindi invano possono, vivendo, tentare l'accesso
all'essere."[44]
La critica carabellesiana all'esistenzialismo si
incentra dunque sulla concezione della soggettività, che
l'esistenzialismo vede come esistenza finita che si fa
pessimisticamente un essere per la morte, e Carabellese
considera come soggettività pensante che vive
nella Coscienza anche al di là della morte[45].
Questo il senso del "pensante che vive"
contrapposto al "vivente che pensa", cioè a una
dimensione fattualistica e naturalistica dell'esistenza. La
Coscienza insomma non può essere assoggettata né alla vita né
all'altra vita: vi è una sovranità della Coscienza
che è altra cosa dalla vita, e, come lo Spirito[46], è eterna. Ma l'accusa di
cadere nel fenomenismo che deriva
dall'identificare vita e Coscienza non viene risparmiata nemmeno
all'idealismo hegeliano e neohegeliano, perché “ E’
altra la via che bisogna prendere [...]. La via ce
l'addita la concretezza di coscienza [...] mostrandoci l'ontologicità
della coscienza concreta. Rifugiarsi, come
fanno l'hegelismo e il neohegelismo, rifugiarsi
nella consapevolezza antinomica del divenire, per evitare il crudo materialismo
da una parte e il trascendente spiritualismo dall'altra, è
cadere nel fenomenismo, e togliere alla coscienza
l'esigenza della sua purezza. [...] Bisogna
abbandonare Hegel nel suo assurdo tentativo di chiudere la coscienza
nel divenire, risalire a Kant, che richiede a fondamento
della coscienza empirica del divenire
(fenomeno), la coscienza pura dell'essere (noumeno),
e da questa richiesta kantiana prendere le mosse."[47] Carabellese dunque
vuole soprattutto affermare che la Coscienza, come
coscienza pura, è, non diviene, e perciò se dal lato del soggetto
"[...] 1) la coscienza non può essere identificata
con la vita, perché essa importa sempre una
affermazione di costanza, di sostanzialità, di durata
eterna irrisolubile nel diveniente, nel successivo, qual
è il vivere chiuso tra il nascere e il morire; [dal
lato della coscienza nella sua purezza, la Coscienza] 2)
la vita che diviene non esclude la coscienza
che è, perché la stessa consapevolezza
del fenomenico vivere ha a fondamento quell'affermazione
dell'eterno, che costituisce la purezza della coscienza, cioè la
coscienza in sé e per sé."[48] 5. I
"distinti" della Coscienza: il Principio e i termini La Coscienza metafisicamente
intesa ha generato non pochi equivoci nella
critica meno attenta non soltanto per la confusione cui può dar
luogo tra livello metafisico, livello trascendentale e livello
gnoseologico, ma anche perché Carabellese ce la presenta sul
piano metafisico, come abbiamo cercato di mostrare, con una
molteplicità di forme la cui reciproca implicazione e distinzione
comporta non pochi problemi. Da un lato infatti per
Carabellese la Coscienza è inseità dell'essere,
coscienza-identità dell'Essere in sé, unicità del Principio,
dall'altro, concretamente, secondo il senso che questa
concretezza ha in Carabellese, è anche molteplicità dei
soggetti esistenti in relazione tra loro e che hanno immanente
in se stessi quello stesso Principio"[49]
Carabellese, con un linguaggio che in prima
istanza risulta piuttosto ostico anche per la compresenza di più
termini per uno stesso concetto e di più concetti per
uno stesso termine, tutti compresenti, chiama queste due forme dell'essere,
sul piano metafisico, i "Distinti" della
Coscienza, Principio e termini, sul piano trascendentale dell'Io
penso kantiano le "condizioni
trascendentali" della Coscienza, sul piano
gnoseologico del soggetto "oggetto e soggetto,
inseparabili" del Concreto[50].
I due distinti dell'essere sono, sul piano metafisico
della Coscienza o Concreto, "[...] l'una
(l'Oggetto puro) Principio, l'altra (i soggetti puri) termini
della concreta coscienza (che non è mai autocoscienza),
da essi costituita come individuazione." Questa individuazione
della Coscienza o Concreto che sono i soggetti
puri come termini della Coscienza stessa è un'individuazione,
dal lato dei soggetti, "[...] dell'oggetto
in soggetti, del Principio in termini.". Vi
è dunque, all'interno della Coscienza
o Concreto come ambiente omnicomprensivo al di là
del quale non vi è nulla, una linea retta verticale che unisce
il Principio e i termini, o meglio il Principio e ciascun
termine: infatti, afferma ancora Carabellese,
"Principio e termini, però che non escono dalla
coscienza, e perciò, presi in una assoluta separazione, sono
astratti."[51]
Quindi il Concreto o Coscienza richiede sul piano metafisico
sia l'unicità che la pluralità, sul piano trascendentale
sia l'universalità che la particolarità, sul piano gnoseologico
sia l'oggetto che il soggetto[52].
E' infatti questa duplicità di unicità e pluralità della
Coscienza nella loro correlazione che rappresenta per
Carabellese la concretezza nei suoi diversi
piani, Concreto che sul piano metafisico significa ad un determinato
livello unità del Principio e molteplicità dei
soggetti, per cui l'Uno è dei molti e i
molti sono dell'Uno. La Coscienza nella sua
concretezza non è scissione ma implicazione di essere e
pensiero. Ma riferiamoci
alla lettera carabellesiana per mettere in evidenza
questa inscindibilità di Essere e Sapere, in un luogo della sua
opera in cui, ancora una volta riferendosi al
piano della
coscienza soggettiva ma al livello del sapere, non della conoscenza, sembra riecheggiare la coscienza
intenzionale husserliana nel mentre si pone sul piano
metafisico del sapere a priori e dell'Essere in sé: "Chi sa,
sa qualche cosa. Non è eliminabile il <<qualche
cosa>>, come non è eliminabile il <<chi>>
dal sapere: <<qualche cosa>>, e
<<chi>>, cioè, in ogni
caso, <<essere>>. Perciò, in
generale, il sapere è un mio-sapere-l'essere-in-sé, in
cui il <<chi>> si è puntualizzato nell'essere singolare
che sono io (unico di tanti), e il <<qualche cosa>>
si universalizzato nell'essere
unico che è in sé (unico per tanti). Il sapere è un mio
sapere. Nel sapere c'è, ed è ineliminabile,
questa puntualizzazione soggettiva che sono io, questa universalizzazione
oggettiva che è l'essere in sé. Questa, in genere, è la
coscienza."[53]
Mentre sul piano metafisico la Coscienza come Essere-Sapere
costituisce uno dei livelli dell'Essere
che Carabellese veniva elaborando nel suo ultimo periodo
e che quindi erano sottintesi, attraverso la teoria della
Coscienza intesa come un Essere-Sapere, un Sapere che è e
un Essere che sa, Carabellese
si propone esplicitamente di superare sul piano
gnoseologico la scissione dualistica del realismo
tradizionale tra soggetto e oggetto e sul piano
trascendentale la frattura dualistica tra essere e pensiero. Ma si
propone anche di operare questo superamento non privilegiando
alternativamente uno dei due termini del dualismo,
come fanno secondo Carabellese e il realismo e
l'idealismo, bensì conservando ambedue i termini,
l'oggetto e il soggetto, e facendoli interagire
sia sul piano gnoseologico sia su quello trascendentale
sia su quello metafisico della Coscienza. Questa
infatti, sul piano trascendentale dell'Io penso,
implica strutturalmente come altrettanto cooriginari,
come suoi apriori o condizioni trascendentali, un soggetto
e un oggetto - Carabellese dice un chi e un qualche cosa[54]
- ambedue altrettanto necessari a che un sapere
si dia. Ora però il chi è sempre un soggetto
singolare, un soggetto tra altri, tra tanti. Ciò sembrerebbe
empiricizzare la Coscienza riducendola a coscienza soggettiva,
singolare: ma ciò che fa fare a Carabellese il salto dal piano
soggettivo al piano trascendentale è il "qualche
cosa". Mentre il soggetto della Coscienza è sempre
particolare, l'Oggetto è l'universale, è l'Essere in sé
che è unico per tanti. Questo essere per tanti consente a
Carabellese sul piano metafisico di opporsi al realismo, in
quanto l'essere non è mai scisso dal sapere come
morto essere inattivo separato dualisticamente dal sapere e
posto come originario rispetto a questo. Ma consente anche di
opporsi a quell'idealismo che, dice Carabellese,
da Platone a Hegel semplicemente rovescia
il dualismo affermando l'originarietà del sapere
invece che dell'essere, mentre viceversa "[...] l'essere (mio e
in sé) non è scindibile dal sapere (anch'esso mio e in sé), e così
reciprocamente."[55]
L'origine della polemica
solo apparentemente gnoseologica sulla separazione
dualistica di soggetto e oggetto è qui, proprio in questa
concezione metafisica della Coscienza come Essere-Sapere:
Carabellese vuole eliminare la separazione tra essere e
sapere, tra essere e pensiero, ma conservandone la
distinzione che sola
può restituire il Concreto. Perciò pur nella
polemica col dualismo soggetto-oggetto sul piano gnoseologico
cui risponde col concetto di Concreto trasponendo soggetto e oggetto
sul piano trascendentale dell'Io penso, conserva la distinzione
tra i soggetti e l'Oggetto sul piano
metafisico della Coscienza. Ma - e qui si
chiarisce forse in modo definitivo sul piano trascendentale
il concetto carabellesiano di Concreto
- ciò che ad un primo sguardo sorprende
di questa concezione della Coscienza come essere concreto
soggettivo-oggettivo è che la concretezza per Carabellese consiste
proprio nell'essere anche l'oggetto, potremmo dire, soggetto di
coscienza, come si deduce dal brano che segue: "Infatti non
soltanto l'oggetto è essere ma anche il soggetto. Perciò il
pregiudizio che soltanto il soggetto sia coscienza [sottol. mia] e
soltanto l'oggetto sia essere, pregiudizio pel quale pare che il
soggetto non sia ma sappia soltanto e che l'oggetto non sappia ma
sia soltanto, non si è inteso nella sua falsità e
superato, quando si è annullato l'essere, che si diceva
oggetto, nella coscienza che si diceva soggetto."[56]
E' dall'assunto che l'essere è spiritualità che deriva con
coerente consequenzialità la singolare tesi dell'essere
l'ente-cosa anch'esso spiritualità, e ancor più, soggetto, così
come i soggetti sono anche oggetti. Ora, se è comprensibile
che il soggetto divenga anche oggetto nella
distanza conoscitiva, che è oggettivante,
non altrettanto immediata è l'idea che gli
enti-cose, e dunque la natura nel suo
complesso, siano soggetti dotati di spiritualità,
peraltro difficilmente esperibile
nel campo dell'esperienza empirica, per cui noi
vivremmo immersi in un mondo di enti spirituali non solo umani che
ci parlano in un loro linguaggio silenzioso da ascoltare
e decifrare - qui la consonanza con la tesi jaspersiana della
possibilità di far assurgere qualunque cosa o evento alla dignità di
cifra della trascendenza è evidente, anche se Jaspers considera
la cifra dal lato di un soggetto che legge la realtà come
manifestazione della trascendenza, mentre per Carabellese
si tratta, abbandonando la cautela critica del
"come se" insita nella cifra soggettiva
jaspersiana, di un carattere metafisico della realtà
che ci viene incontro nella sua oggettività spirituale che non
solo ci testimonia della trascendenza, ma anche ci fa
comunicanti in una corrente di spiritualità che attraversa e unifica
tutto l'universo, sua manifestazione: qui l'immanentismo di
Carabellese prende il sopravvento sul trascendentismo
di un Principio inesauribile che si pone sempre al
di là di qualunque sforzo soggettivo di
oggettivazione e dunque di limitazione, e il suo idealismo si
sposa, o almeno si avvicina, a quelle correnti della filosofia
della vita che come Bergson vedono l'universo come
espressione di una forza spirituale.
Nonostante risulti
comprensibile alla luce di quello che inteso in senso letterale è lo
spiritualismo di Carabellese, la sua tesi dell'oggetto di coscienza
al pari del soggetto appare dunque in prima istanza
sorprendente. Ma la sorpresa si attenua se si pone mente al fatto che
nel concretismo rigoroso, ossia sul piano di quella "concrescenza
materiale/formale" di cui parla Semerari, l'oggetto,
dal punto di vista gnoseologico, appunto concresce col
soggetto in modo coevo nell'esperienza, che, come
esperienza di secondo grado aperta
e guidata dall'intellectus fidei, dà
senso a tutta la realtà intesa non nel senso
empirico del termine, ma nel senso del realismo scolastico.
Inoltre, sul piano metafisico, quella stessa sorpresa
scompare se si intende che l'oggetto di coscienza
di Carabellese non è né l'oggetto del realismo tradizionale,
né l'oggetto della conoscenza, anche concreta: sul piano
metafisico cui si accede con l’intellectus fidei è Dio,
che come Oggetto unico di coscienza permette il
consentire di tutti i soggetti in esso. Infatti: "[...] nel
rigoroso ontologismo, [...] la coscienza è lo stesso essere [...]
il soggetto, chiudendosi come io nella
coscienza pura, può e deve sentire in tale sua purezza
l'Essere assoluto come Oggetto puro della sua coscienza. [...] Noi,
molti io, sappiamo Dio, l'Unico."[57]
Perciò l'Oggetto è immanente al soggetto, la Verità è immanente alla certezza, l'Essere ideale è immanente
all'essere spirituale. Forse il punto in cui
Carabellese apparentemente più si distacca dalla dottrina
cattolica, implicitamente sentito dalla critica neoscolastica[58],
non è tanto la negazione dell'esistenza di
Dio come personalità, l'una e l'altra abbiamo visto
essere attribuite a Dio solo per analogia, ma quello per
cui nel suo pensiero Dio non è mai teorizzato come
soggetto di amore, ma sempre come oggetto di amore,
Oggetto di coscienza. Ma si tratta appunto di un'apparenza,
dal momento che, se si può affermare con
sicurezza che il Dio carabellesiano sostiene l'essere,
realtà spirituale intesa come espressione
della presenza di Dio e sua manifestazione, pure questa
presenza, nonostante la sua non soggettività e non
personalità, entra in rapporto personale diretto con i soggetti
che lo adorano e lo ricercano, non soltanto dal punto di vista
soggettivo come Oggetto di coscienza di adorazione
religiosa e di ricerca filosofica, e dal punto di vista
metafisico del rapporto tra Principio e termini nella
Coscienza o Concreto, ma anche dal punto di vista ontologico
della costituzione stessa della coscienza soggettiva.
Intendo dire che il concetto
carabellesiano di Dio Oggetto di coscienza
dei soggetti non fa riferimento solo all'aspetto psicologico
per cui Dio si pone, come per Platone, come oggetto
di amore (religioso e filosofico) consapevolmente
ricercato - il che escluderebbe dalla dignità di pensanti
coloro che non credono o non ricercano, come in alcuni
passi Carabellese perentoriamente afferma - ma implica pure,
ad un livello metafisico, l'essere Dio costitutivo della coscienza
dei soggetti anche al di là della consapevolezza di questo o quel
soggetto - il che restituisce a tutti i soggetti, se non la dignità
di pensanti nel senso forte che Carabellese attribuisce al
termine, almeno la dignità di persona[59],
tema questo che Carabellese condivide con tutto il
pensiero cattolico. Dio è Oggetto puro perché
appunto è condizione di possibilità della coscienza
soggettiva, è l'apriori e il presupposto
di essa, è ciò (Oggetto) per cui la coscienza soggettiva
è coscienza, in questo senso è universale e necessario,
anche se non necessariamente consapevole in ogni soggettività.
Oggetto di coscienza allora Dio a due livelli, l'uno
soggettivo-psicologico, l'altro oggettivo-ontologico, laddove
quest'ultimo si identifica con l'essere Dio realtà
spirituale costitutiva dell'essere. In
queste parole è a nostro parere leggibile già nella Critica
del concreto il sistema metafisico che Carabellese
espliciterà poi ne L'Essere, e di cui apparentemente manca
una parte, la prima: si ponga attenzione, nella Coscienza come
essere concreto, al rapporto diretto e orizzontale tra
Oggetto puro, Dio, e Soggetto puro, l'Io penso: "Quando
si abbia presente il concetto critico dell'essere
concreto della coscienza, pel quale l'oggetto puro deve
essere coscienza come il soggetto puro [sottol.
mia], si vede che caratteristica
del puro soggetto è la singolarità plurima, e questa, in
quanto tale non è né il principio dell'attività, né la
stessa attività concreta, ma soltanto l'individuarsi, il singolarizzarsi
di questa."[60]
Ciò significa che la
Coscienza ha, sul piano metafisico, come sue condizioni
sia la Soggettività pura, l'Io penso, che l'Oggettività
pura, Dio, e dalla prima, l'Io penso come
Soggetto puro, discendono i soggetti singolari plurimi
come suo singolarizzarsi,
sua individuazione: la molteplicità dei
soggetti nel loro reciproco rapporto fondato da un lato sul
Soggetto puro, dall'altro sull'unicità dell'Oggetto immanente
in essi e trascendente rispetto sia a ciascuno di essi in verticale,
sia al Soggetto puro in orizzontale, non è, afferma Carabellese, né
il Principio dell'attività, che è Dio come Idea, né l'attività
stessa, che è la Coscienza come Concreto, che
anch'essa sta lì a indicare l'individuazione della
Coscienza. Queste condizioni pongono
infatti in verticale nell'essere-coscienza una distinzione
intrinseca, tra me, "indispensabile
termine plurimo infinito dell'essere", e Dio, "[...]
indispensabile Principio unico eterno di esso.
E' questo essere, quello che io dico essere di
coscienza puro; ed è l'essere concreto. Ed è il
solo vero essere [...]."[61]
In queste poche parole sono contenute molte delle concezioni
carabellesiane sull'essere, apparentemente tutte poste sullo
stesso piano: l'Essere come Principio, che è l'Uno
neoplatonico, il suo rapporto indispensabile con il soggetto come
termine, soggetto che è infinito nel senso che non nasce e non
muore, e che è plurimo nel senso che è
molteplice, che non è singolare ma plurale,
ossia che vi è una pluralità di soggetti tutti
termini di quell'Unico eterno, Dio, che in quanto Essere
di Coscienza puro, è il Centro della Coscienza come
ambiente omnicomprensivo, e in quanto Puro della
Coscienza, è Idea. Ma quale rapporto
lega i distinti della Coscienza?
Caratteristica della Coscienza come Concreto è quella di essere
attività, il che comporta l'assoluta estraneità
dell'ontologia carabellesiana rispetto alle tradizionali ontologie
dell'essere: non un essere statico, morto, ma un'attività
come per Spinoza, attività dotata di coscienza,
per cui Carabellese può dire che essere è fare, è sapere[62].
Questa attività, dal momento che i distinti della Coscienza
sono i soggetti e l'Oggetto, è al tempo stesso soggettiva e
Oggettiva[63],
cosicché concretamente concepita l'attività risulta dei
"[...]molti agenti con unico principio. Il valore dei
soggetti sta in quell'essere, come agenti, molti;
il valore dell'oggetto nell'essere, come
principio di attività, unico."[64] Ma qui evidentemente non
siamo più nell'ambito gnoseologico del rapporto tra enti-io ed
enti-cose, poiché, posto che l'Oggetto
è "[...]
immanente principio della pura attività."[65] della Coscienza, il
quale come Principio interno alla Coscienza è suo motore
e radice, ci troviamo invece sul piano dell'intersoggettività
interna alla Coscienza, dove i soggetti sono i
termini, anche in senso letterale sia
di compimento del percorso dal Principio ai
termini sia di articolazione della Coscienza, della Coscienza
stessa: "I soggetti così nella loro pluralità
sono i veri termini (attiva
relazione) dell'essere concreto; l'attività si svolge tra
soggetti, pur essendo sempre, essa, esplicazione
dell'oggetto unico universale implicito in tale loro attiva
relazione come oggettivo suo principio sostanziale."[66]
La Coscienza è allora come Concreto attività concreta che importa
dentro di sé un rapporto tra soggetti, rapporto
che trova nell'Oggetto il suo Principio costitutivo immanente.
Il rapporto intersoggettivo non è con l'Essere (che lo
racchiude), né con l'Oggetto
(ché sarebbe soggettivo), dice Carabellese,
ma nell'Essere e nell'Oggetto: il rapporto è tra i soggetti tra
loro, che appunto per questo essere sempre costitutivamente in
rapporto tra loro sono relativi e reciproci. L'altro del rapporto non
è l'Oggetto[67],
ma l'altro soggetto, dal momento che l'Oggetto non può
essere l'altro perché è immanente, e come Unico, è ciò in
cui quei singolari di Coscienza si costituiscono come
soggetti pensanti in comunicazione tra loro.
Carabellese rifiuta il concetto di soggetto come sostanza,
perché considera la sostanza come Essere in sé e, in
quanto tale, la attribuisce soltanto a Dio come Idea.
Il mio essere, dice Carabellese, è il mio essere
in altro: io non sono sostanza, non sono cioè
chiuso in me stesso ma aperto agli altri nella prodigalità
che attua la sostanza[68], e in questa apertura
alla comunicazione[69]
io non sono autocoscienza perché rimarrei chiuso in me stesso[70].
L'io è allora per Carabellese termine, ossia uno dei tanti,
ciascuno dei quali è singolarità penetrativa, ossia
correlativa a quella degli altri io, che sono
relativi come me e che trovano il fondamento della loro
relazione nel Principio, ossia in Dio, immanente
come Oggetto in ogni relazione e fondante la
reciproca comunicazione. Io sono indispensabile alla Coscienza,
cosicché ciascuno degli io è identico a ciascun altro:
"[...] io, nella mia indispensabilità alla coscienza,
sono identico ad ogni altro, non finito da ogni
altro e perciò infinito e pur plurimo."[71]
Questa identità di ciascun io con tutti gli altri è fondata
nel fatto che tutti sono con-sapevoli: Carabellese dà a
questo termine il significato letterale di un con-sapere, di un
sapere insieme, il cui "che cosa", il cui Oggetto, è
Dio. Ma tutta questa concezione
carabellesiana della Coscienza non si comprenderebbe se
non si ponesse mente al continuo traslitterare
di piano che Carabellese opera tra gnoseologia e
metafisica: voglio dire che una piena comprensione
dell'argomentazione carabellesiana è impossibile se non
tenendo compresenti tutti i piani che si pongono tra questi due
livelli di cui il primo è quello metafisico, e ponendo
attenzione al fatto che Carabellese usa contemporaneamente il
linguaggio che appartiene ad ambedue, avvalendosi
delle relative implicazioni semantiche e anzi
giovandosi della loro interazione. Mi spiego. I soggetti sono
molteplici, relativi e reciproci, l'Oggetto è l'Essere
in sé unico in cui tutti quei soggetti convengono[72], la Coscienza è ciò al
di fuori di cui non vi è nulla: queste affermazioni rimangono freddi
e morti assiomi che risultano incomprensibili se non si fanno
interagire contemporaneamente il piano gnoseologico, il piano
trascendentale e il piano metafisico. Ed infatti
questa concezione della "coscienza"
che continuamente passa dal piano gnoseologico
a quello ontologico e viceversa come
presenza effettiva nei soggetti e tra i soggetti
dell'Oggetto ad essi immanente non
poteva non dar luogo alla
polemica che Carabellese porta avanti nei confronti di quel modo di concepire il rapporto soggetto-oggetto da lui
definito dello gnoseologismo intellettualistico. Ma, prima di
affrontare la questione della polemica
carabellesiana nei confronti del dualismo
soggetto-oggetto, forse nella maniera più chiara il rapporto
che lega nella Coscienza, i soggetti all'Oggetto,
ma al tempo stesso la continua oscillazione di
piano dalla gnoseologia alla metafisica, viene alla
luce in questo brano: "Il concreto è quell'organicità
spirituale in cui noi viviamo [...] è l'individuazione molteplice di
quel quid unificante
[...] Nella positiva coscienza invece noi troviamo
un Oggetto che è ideale proprio perché
oggetto; e dei soggetti, che, proprio perché consapevole spiritualità,
sono reali. Questi soggetti realizzano
l'Oggetto ideale; quell'Oggetto sostanzia i soggetti
reali, giacché è l'Essere
in sé. L'Essere in sé, con la sua ideale oggettività,
è il principio costitutivo dell'essere
relativo con la sua reale soggettività, ecco [...] la coscienza
concreta [...]"[73].
In questa concezione carabellesiana della Coscienza e
del rapporto tra i soggetti nei confronti dell'Oggetto, Semerari
individua il grande debito che Carabellese ha verso Kant,
nonché il motivo profondo che a lui lo lega. Ricordando come
per Carabellese Kant rappresenti una tappa fondamentale
nell'elaborazione della sua Critica
del Concreto, Semerari mette in evidenza quale
Kant costituisca per Carabellese un punto di
riferimento. Certamente il Kant che afferma l'inesauribilità
dell'essere o cosa in sé rispetto alla conoscenza, ma soprattutto
il Kant che senza accorgersene imposta il nuovo
problema della filosofia, la Coscienza nella sua concretezza
strutturale, che implica universalità e singolarità, oggettività
e soggettività, Dio e io. Con Kant l'oggettività diviene
il luogo dell'identico insito nella coscienza
dei singoli, ciò che rende questa coscienza universale
e necessaria. Con Kant secondo Carabellese si attua il
passaggio dalla filosofia del conoscere alla filosofia
della Coscienza e del Concreto, passaggio che peraltro la
filosofia dopo Kant ha travisato e dimenticato.
Sebbene Kant, con un pregiudizio precriticistico, non
abbia saputo rinunciare ad un Essere in
sé fuori e al di là della coscienza, e non si accorge che
l'oggetto è da lui posto come universalità e necessità della
Coscienza e non come suo al di là, pure pone la Coscienza come
unico orizzonte del filosofare, e così facendo apre la strada a
quell'inglobare gli oggetti metafisici per eccellenza (Dio, Io e il
mondo) nella Coscienza stessa che opererà Carabellese,
intesi quali oggetti a un tempo immanenti alla coscienza
perché ad essa intrinseci come apriori metafisici di ogni
concreto sapere e fare, e trascendenti perchè da essa inesauribili
in ogni concreto sapere e fare. Con Kant la Coscienza diviene
il consapere che i molti soggetti
hanno dell'unicità dell'Oggetto, il quale si pone allora
come il fondamento e il principio della Coscienza di
cui i molti soggetti sono i termini esistenziali, e in
quanto esistenziali singolari[74].
Pur riconoscendo l'importanza e l'incisività dell'analisi di
Semerari del passaggio da Kant a Carabellese, non possiamo, alla luce
della stessa lettera carabellesiana più volte
sottolineata, che dissentire su quel
limitare i soggetti ai soggetti esistenziali
(anche a partire dalla polemica carabellesiana con
l'esistenzialismo), che rende il termine esistenziale in
Carabellese estremamente riduttivo rispetto alla sua concezione del
soggetto, e dunque da adoperare con estrema cautela. 6. La
polemica contro il dualismo soggetto-oggetto Il porre la
questione della Coscienza su di un piano metafisico,
dandole la latitudine amplissima che si è cercato
di restituire, costituisce l'aspetto positivo di una riflessione
che conduce più volte Carabellese a
polemizzare con la considerazione che vuole la Coscienza posta sul
piano gnoseologico come proprietà del soggetto, e
a prendere perciò posizione, apparentemente a
partire da questo punto di vista, contro il dualismo
soggetto-oggetto[75]. Secondo Carabellese, è comune
a tutte le dottrine filosofiche la concezione dualistica
del mondo secondo la quale ad un insieme di enti separati
tra loro che costituiscono il mondo oggettivo, o natura,
si oppone un soggetto di fronte al quale sta questo
mondo di oggetti coi quali egli entra in rapporto soltanto
mediante la conoscenza, che pertanto "[...] ci fa
sapere l'oggettività: il soggetto non può sapere l'oggetto
che mediante la conoscenza."[76]
Questo dualismo tra
mondo soggettivo e mondo oggettivo è implicito per
Carabellese anche in quelle concezioni che sembrano negare uno
dei due termini per esaltare l'altro, come, su opposti fronti,
fanno il materialismo, che nega il soggetto come spiritualità,
o l'idealismo soggettivo, che nega l'oggetto come materialità.
Ma il presupposto della scissione soggetto-oggetto
"[...] è soltanto necessità di un
dualismo realistico e non esigenza di coscienza.
Infatti la separazione dei soggetti dagli oggetti e la
conseguente deduzione idealistica di questi da quelli derivano
dallo scambiare l'astrazione empirica con la
concretezza; scambio che scinde (realismo) o mutila
(idealismo soggettivo) irreparabilmente l'essere nella
sua concreta attività."[77]
La polemica dunque investe in primo luogo il realismo
tradizionale, in cui
secondo Carabellese lo
gnoseologismo trova la sua matrice più profonda quando
considera la realtà come dualismo soggetto-oggetto: è infatti
il realismo che oppone a un mondo dentro di me
un mondo fuori di me[78].
Affrontando la questione dal lato del soggetto[79],
Carabellese contesta l'astratta considerazione di un soggetto
conoscente che da un lato si contrappone dualisticamente
all'oggetto conosciuto - dualismo che
deriva appunto dall'avere scisso essere e pensiero, essere
e conoscere - e dall'altro che si pone in
questa sua determinazione di soggetto
conoscente epistemico che "dimentica" il volente
e il senziente: egli non manca di sottolineare che il soggetto è
pensante e non conoscente, laddove il pensiero, che è sapere
implicito, include, oltre al conoscere, anche il sentire
e il volere, che non possono mai essere scissi
pena l'astrattezza della considerazione del
soggetto. Anche qui, nella polemica contro
un soggetto mutilato, torna la sua
attenzione al Concreto, e la gnoseologia viene superata da
una concezione del soggetto a tutto tondo che non è conoscenza
soltanto ma sapere. Ma il vero
nocciolo della questione, e il vero punto dirimente rispetto
al realismo scolastico, è messo a fuoco nella
considerazione dell'Oggetto: "Dire quindi che
'l'essere, oltre essere nella coscienza come oggetto, deve
essere anche in sé come l'indipendente dalla coscienza'
è soltanto manifestare che non si è penetrata per niente
l'esigenza della concretezza."[80]
Sul piano metafisico, è l'Essere in sé del realismo scolastico
che a Carabellese preme contestare come Essere in sé indipendente
dalla coscienza (soggettiva) che conduce alla
considerazione di un Oggetto scisso dualisticamente dal
soggetto: se si accetta il concetto di Essere in sé del
realismo, sembra voler dire Carabellese, ci si trova poi a dover
colmare l'abisso che separa il soggetto e l'Oggetto, a
doverne teorizzare la radicale separazione. Così
come si deve considerare l'Oggetto solo in rapporto al soggetto,
così è necessario considerare il soggetto solo in rapporto
all'Oggetto: è solo nel rapporto tra i due che si ha la
concretezza, ed è impossibile scindere tale rapporto
senza cadere nell'astrattezza: "[...]
l'essere è concretezza di oggetto nei soggetti."[81]
Ma affermare la loro inscindibilità sul piano metafisico significa
sorprendentemente, sul piano gnoseologico, che "[...] in concreto
il soggetto non è il non-oggetto, né l'oggetto è il
non-soggetto; ma bensì che oggetto e soggetto
sono inseparabili nell'essere concreto, cioè
l'ente-io, perché sia tale, deve essere anche oggetto.
[...] che io, in quanto io, sono un soggetto e perciò
non oggetto, e che le cose [...] sono oggetto e perciò
non soggetto, è falsa."[82]
Dunque, sorprendentemente, anche l'ente-cosa è
per Carabellese soggetto, ed è soggetto perché,
coerentemente con la sua posizione
ontocoscienzialistica, nulla è fuori della Coscienza, di modo tale
che "[...] io in qualche modo comprendo tutti gli enti,
ma solo a condizione che questi, ciascuno a suo modo,
comprendano me. [...] tutti gli enti, dunque, [...] sono
soggetti come me, o non sono neppure enti, non sono
affatto."[83]
In altre parole, è precritica la posizione del dualismo
realistico tradizionale che vuole gli enti-io contrapposti agli
enti-cose, ed è falsa. E'
necessario allora concepire l'essere non secondo
la visione intellettualistica della divisione
soggetto-oggetto, che lo considera come ciò che, esterno
all'atto con cui viene colto, si pone di fronte al soggetto come
un che di estraneo, ma secondo la prospettiva per cui
l'essere è ciò in cui siamo immersi e che noi
stessi siamo, dal momento che è "[...] concreta
spiritualità, al di là della quale nulla è ammissibile
o concepibile mai."[84]
E' possibile scindere soggetto e oggetto, sia sul piano
metafisico sia a livello gnoseologico, e
considerarli in sé, ma solo per via di
astrazione: "Soggetto, per sé, adunque, è il singolare di
coscienza; oggetto, in sé, l'universale di coscienza."[85]
Ma la polemica più serrata, nella quale dal
livello gnoseologico si torna a mettere a
fuoco il livello metafisico,
è nei confronti dell'idealismo soggettivo e del suo concetto
di autocoscienza universale. A Carabellese preme fondare
metafisicamente, attraverso la teoria della Coscienza come orizzonte
metafisico, per un verso la pluralità dei soggetti[86],
per l'altro l'unicità dell'Oggetto:
"[...] ritenere il concreto autocoscienza universale e
unica, è porre fuori del concreto, inesplicabile, da una parte la
coscienza plurima dei soggetti, e dall'altra l'esigenza unica
dell'essere oggettivo. La falsità sta sempre nella falsa
concezione del soggetto e dell'oggetto, nel concepire, cioè,
il soggetto come coscienza e l'oggetto
come non coscienza, sta, cioè, nell'identificare, realisticamente,
la coscienza con l'io, che di essa è
soltanto un distinto [...]."[87]
Carabellese conduce una lunga polemica contro la pretesa
idealistica di riservare la coscienza al soggetto: essa non
è una proprietà del soggetto, ma è viceversa
il soggetto che, insieme e inseparabilmente dall'Oggetto, è uno
dei due distinti o termini della Coscienza.
Ma altresì falsa è la posizione gnoseologica
idealistica che fa dell'oggetto il non-io contrapposto e negato
dal soggetto come contenuto puramente negativo: "[...] né
il mondo oggettivo [...] può solamente star lì
a farsi guardare (dogmatismo) o porre (idealismo
assoluto), ma deve fare anch'esso [corsivo mio], né il mondo
soggettivo può essere puro fare, deve, anch'esso, essere."[88]
Così l'obiettivo della
polemica contro il dualismo soggetto-oggetto
è triplice. Sul piano metafisico, da un lato nei confronti del
realismo scolastico, contro il concetto di Oggetto
come Essere in sé separato dal soggetto
e dall'altro nei confronti dell'idealismo
soggettivo contro il concetto di Concreto come autocoscienza
universale che esclude la pluralità dei soggetti e l'unicità
dell'Oggetto, sul piano gnoseologico invece, da un lato nei confronti
ancora dell'idealismo soggettivo con il concetto di io come
autocoscienza e il concetto di oggetto come non-coscienza,
dall'altro nei confronti del realismo tradizionale che
separa dualisticamente soggetto e oggetto.
Come si vede la polemica nasce, oltre che dal
diverso significato che Carabellese dà a questi stessi termini
che pure usa mutuandoli da una tradizione filosofica
da cui si discosta, dalla diversa costellazione
in cui li articola in una, per usare la parola
di Fanizza e Semerari, "struttura"
complessa e organicamente concepita. A proposito
del mutamento di significato cui sottopone concetti comuni
anche ad altre correnti filosofiche, ad esempio
per quanto riguarda l'io,
questo non può essere autocoscienza perché
Carabellese intende per io
gli io singolari plurimi, che, lungi dall'essere meri fenomeni, sono
sempre coscienza di qualcosa, sul piano
metafisico coscienza dell'Oggetto, e dunque rappresentano
per lui uno dei distinti della Coscienza, come si può
infatti arguire da questo brano: l'io come autocoscienza
"Non può significar nulla, perché l'io, che è autocoscienza,
non saprebbe di che esser coscienza: perché
ci sia coscienza, deve nei soggetti coscienti esserci
l'oggetto di cui si è coscienti. [...] io sono un distinto
della coscienza, ma non sono la coscienza
senz'altro."[89]
Torna l'affermazione recisa che la Coscienza
non è attributo umano ma ambiente
onnicomprensivo, e viene anche alla luce l'esigenza di non
appiattire la singolarità plurima degli io su quell'Io puro cui
dedicherà la seconda parte de L'Essere, l'Io: questo,
senza i suoi distinti io singolari, non è
possibile, in quanto i soggetti singolari, nella
loro pluralità, non sono mera parvenza né hanno soltanto
valore empirico, ma metafisico. L'altro, più profondo, obiettivo
polemico è proprio l'Io puro considerato come Autocoscienza dal
soggettivismo idealistico, e viceversa considerato da Carabellese
in un'accezione che ne coglie a fondo la portata metafisica, ma di
quel soggettivismo contesta anche qui, nella Critica del concreto,
l'autoreferenzialità. Carabellese
non può considerare l'Io puro come Soggetto unico universale,
perché ciò significherebbe appunto, oltre che annullare
la pluralità dei soggetti che egli
invece considera, come carattere dell'Io puro, metafisicamente
costitutiva della Coscienza, anche divinizzare in modo
assoluto ciò che invece costituisce sì la trasposizione sul
piano metafisico dell'Io trascendentale, ma con una presa di
distanza, oltre che rispetto a Kant, anche
rispetto all'Io come Soggetto unico universale, ossia
senza quegli attributi di universalità e assolutezza che Carabellese
considera propri soltanto di Dio. Ascoltiamolo nella Lezione
XXIV: L'unità plurima come interezza che apre la Sezione
B) Io intero del Capitolo III: Io identico del
suo corso inedito del 1946-47 sull'Io: "E perché
io sia puro, bisogna che io sia, proprio come
singolare, l'unità plurima compatta che è la quantità
dell'essere. [...] La kantiana unità sintetica appercettiva, per
buona volontà che ponga nella sintesi, avrà sempre
da fare con frantumi da mettere insieme. [...]
L'intero non è un prodotto dell'esperienza, ma un presupposto
di questa. [...] Finché l'unità è considerata come
categoria, la pluralità è
un assurdo. [Par.] 86) Apriorità
dell'intero [...] come fondamento [...] prendere me
singolare, che sono l'innegabile esigenza di
coscienza della unità intera. L'INTERO, CHE IO SO APRIORI, SONO
SOLTANTO IO IN QUANTO PENSO."[90] Dunque l'Io puro è
un uno intero che, in quanto Io penso, fonda sia la
pluralità degli io, sia, all'interno di questa, il mio
sapere apriori: la trasposizione dal piano trascendentale al
piano metafisico è avvenuta. 7.
Trascendenza e immanenza tra i distinti della Coscienza Possiamo ora affrontare
più nello specifico qual è il rapporto che lega
all'interno del Concreto o Coscienza i suoi distinti o
condizioni costitutive: possiamo cioè chiederci qual
è secondo Carabellese il rapporto tra i soggetti e l'Oggetto,
e dei soggetti tra loro, dal momento che
egli polemizza con la posizione dualistica tradizionale prendendo
le distanze contemporaneamente dal realismo tradizionale,
da quello neoscolastico e dall'idealismo soggettivo
nel modo che abbiamo visto. Non senza notare
però che al livello della Coscienza come Essere-Sapere
non soltanto permane in lui, sebbene non interpretato in
senso realistico, il dualismo soggetti-Oggetto[91]
e lo stesso dualismo Essere-Sapere, ma anche che, come ora
vedremo, proprio per l'accezione che i due termini, soggetti e
Oggetto, hanno nel suo pensiero, il rapporto che li lega,
alquanto problematico, è
passibile di essere interpretato come un circolo.
L'identificazione che
Carabellese fa di Dio con l'Oggetto puro ha confortato alcuni
critici sull'interpretazione del suo pensiero come
immanentismo: Dio è immanente alla coscienza come Oggetto
universale in cui i molti, suoi Termini, convengono. Quest'idea
di immanenza viene rafforzata dalla ripresa che
Carabellese fa dell'argomento ontologico anselmiano
dell'imprescindibilità del pensiero di Dio secondo
cui chi lo nega è insipiens. Anche sul piano metafisico,
l'interpretazione del noumeno kantiano come Idea teologica conferma
l'immanentismo di Dio sia al livello della Coscienza come suo In
sé sia sul piano della coscienza dei soggetti come idea nella
sua pensabilità intrinseca alla coscienza stessa.
Ma pure questo immanentismo, da Carabellese più volte
sostenuto, è almeno problematico, dal momento che gli si può affiancare
altrettanto legittimamente una diversa lettura che metta
in risalto i luoghi carabellesiani in cui al concetto di
Dio non può che attribuirsi la trascendenza. Uno dei
punti in cui la critica si è più divisa è infatti
proprio quello dell'interpretazione del pensiero carabellesiano
in termini di immanentismo o trascendentismo, appunto
per la problematicità del concetto
carabellesiano di Coscienza e del rapporto che lega i
distinti della Coscienza, Principio e Termini: immanenza o
trascendenza hanno rappresentato il terreno di scontro della
critica neoscolastica e non riguardo a concetti che, sconfinando
nell'ambito della riflessione religiosa, erano portatori
di una determinata immagine di Dio. Allora, se innegabile
risulta l'affermazione che Carabellese fa dell'immanenza
di Dio come Idea alla Coscienza, è proprio
approfondendo il concetto di Dio come noumeno appartenente
a priori alla coscienza che si perviene alla sua inconoscibilità,
inesauribilità e dunque trascendenza per il soggetto. Dio
in questo senso è pensabile ma non conoscibile, costituisce la
coscienza nel suo esserne implicito che qualunque esplicitazione
dovrà dichiarare inesaustiva perché inesauribile:
è dunque trascendente, così come trascendente risulta, per la
sua innegabilità, a chi come Anselmo lo afferma in
ogni sua affermazione. Anche dove più recisa è l'affermazione
dell'immanenza di Dio al pensiero, come nel
Problema teologico come filosofia, pure si fa
strada questa necessità della sua trascendenza,
che viene esplicitamente dichiarata nella seconda
edizione della Critica del Concreto:
"Solo [...] l'intrinsecità
dell'Unico ai molti permette quella trascendenza assoluta che
l'assoluto Principio non può non richiedere [...] né trattasi di
rapporto dialettico antitetico tra immanenza e trascendenza.
L'immanenza non è l'opposto della trascendenza ma della
estrinsecità; e così la trascendenza non è l'opposto della
immanenza ma della assoluta adeguazione [...] L'esigenza della
trascendenza [...] è l'esigenza che il concreto ha di un
Principio [...]"[92]. Carabellese dunque parla
di trascendenza o inadeguabilità e di immanenza o
intrinsecità insieme, ossia come caratteri che
si richiamano l'un l'altro: per quanto riguarda il
primo, la trascendenza, dire che il Concreto è inadeguato ai suoi
distinti significa dire che questi "[...] superano la
coscienza concreta, non vengono da questa attuati
interamente. Non verrà quindi mai tempo, in cui la
coscienza si quieti, perché ha concretamente raggiunto il
suo Principio ed esauriti i suoi termini [...]."[93] Quindi il movimento della
Coscienza è espansivo dal punto di vista dei termini,
intensivo dal punto di vista del Principio o Oggetto unico
o Dio, la cui trascendenza anche rispetto alla Coscienza,
come Concreto o Essere-Sapere dualisticamente
ancora distinti seppure inscindibili, è necessaria.
Infatti nel prosieguo dell'argomentazione Carabellese
specifica che la trascendenza
è un carattere dell'Unico: "Ogni rigorosa
trascendenza (inadeguabilità) dell'Unico non può essere scissa
dalla sua rigorosa immanenza (intrinsecità) [...] perduta sarebbe
la mediata diversificazione dell'Unico pur nella individuata
attività dei singoli; perduta sarebbe l'implicita
individuazione che i molti fanno dell'Unico pur
nella sua diversa attività."[94]
Si può, anzi si deve, dunque parlare a nostro parere di
immanentismo e trascendentismo insieme, che vengono a
proporsi alternativamente a seconda del punto di vista da
cui si guarda: dal lato dei soggetti, Dio è trascendente
nella sua ulteriorità, cosicché non viene
mai adeguato dai soggetti che si sforzano all'infinito
di raggiungerlo, mentre considerato nella
prospettiva dell'Oggetto, Dio è immanente alla coscienza
dei soggetti, che anzi costituisce nella sua oggettività.
Se la trascendenza è dunque esigenza derivante dall'inadeguabilità
che conduce a un continuo oltrepassamento, l'immanenza è
invece la necessaria intrinsecità dell'Oggetto ai soggetti.
Infatti per Carabellese l'errore del concetto tradizionale di
trascendenza consiste nel considerarla come estrinsecità e
dunque separazione, laddove invece la trascendenza
è possibile solo se ciò che trascende è
intrinseco al trasceso, se non si vuole che trascendenza significhi
irrelatività, mancanza di rapporto. Sia la trascendenza
religiosa che quella gnoseologica, che considerano l'una Dio
l'altra l'essere in sé come assoluti, conducono per Carabellese,
a causa di un malinteso concetto di trascendenza come
esteriorità, a "[...] una duplice falsificazione
della coscienza: 1) l'identificazione di questa con
uno solo dei suoi distinti, l'Unico, ritenuto Dio
nella trascendenza religiosa, essere oggettivo in quella
gnoseologica; 2) la separazione di tale Unico [...] dai
singolari che l'affermano. Entrambe queste falsificazioni sono
la diretta conseguenza di
quella negazione del concreto, che è implicita nel
concetto tradizionale di trascendenza come esteriorità, derivante
dalla mancata fusione di essa con l'immanenza."[95]
E' a partire dal legame tra trascendenza e immanenza,
che si richiamano sempre l'un l'altra, che è possibile
comprendere le due forme di trascendenza, relativa ed
assoluta, riguardanti l'una il rapporto che
lega i soggetti tra loro, l'altra il rapporto che
lega i soggetti con l'Oggetto. E' trascendenza relativa quella
dei soggetti tra loro, i quali, come coscienze singolari, sono
ciascuno in rapporto con ciascun altro nella comune Coscienza
universale, che individuano e che esplicano in
infinitum. Questa trascendenza relativa è reciproca:
"[...] non mi porrò mai io come uno al posto dell'altro,
come un altro, non lo sostituirò né sarò mai sostituito, come
giammai farò esplicita senza residui l'unicità
nell'universalità delle sue forme [...] perciò non
sarò mai l'Unico per esplicarlo che faccia,
non sarò l'altro per quanto riesca a
comprenderlo."[96]
La trascendenza relativa fonda per Carabellese
la comprensione tra soggetti: "L'altro [...]
proprio in quanto altro, cioè tu, trascenderà me; ma
soltanto così come io, proprio in quanto altro del tu, trascenderò
l'altro. [...] tu, essendo un altro io, sei concreta
coscienza, come sono io, in quanto anche tu sei un
soggetto della coscienza universale. L'altro, che
è tu, vale me, che sono il tu di quell'altro. La
coscienza universale, dunque, che immane nella nostra reciproca
comprensione, richiede, proprio per questa sua immanenza,
la nostra reciproca trascendenza [...] Tutti noi, dunque,
soggetti ci trascendiamo l'uno con l'altro, perché
ciascuno, nell'ineliminabile rapporto con l'altro, è principio
relativo dell'altro, e così intrinseco all'altro: il principio è
sempre intrinseco, mai estrinseco."[97]
Io e tu, dunque, singolarità di Coscienza, sono
reciproci e, nel loro rapporto di trascendenza relativa,
costituiscono una delle due forme della trascendenza concreta. L'altra forma
è la trascendenza assoluta, quella
dell'Assoluto, l'Incondizionato Universale, di
cui abbiamo "infinita sete", con
la quale si chiude la Critica
del concreto. Quello che lungo il corso della
sua riflessione Carabellese chiama Oggetto puro, Principio, Dio, è,
come Assoluto, assolutamente trascendente. Mentre la
trascendenza dei soggetti è relativa perché reciproca,
quella del Principio è assoluta perché esso, che trascende,
non può mai esser trasceso. E proprio quest'impossibilità
di esser trasceso implica l'immanenza dell'Oggetto nel
soggetto, ossia la negazione della separazione. Infatti
trascendenza assoluta, proprio perché
unilaterale dal lato del Principio (nel senso che la trascendenza
dell'Assoluto non significa la trascendenza dell'io, che
sarebbe separazione tra l'Assoluto Principio e
l'io), dal lato dell'Oggetto significa
immanenza. Quindi, seppure questa trascendenza è assoluta, il
rapporto che si stabilisce tra Dio come Assoluto e i
termini è biunivoco, ossia bilaterale. Infatti, in quanto
Principio, Dio è in comunicazione con i soggetti come termini
in direzione discendente, in quanto Oggetto, Dio è in
comunicazione con i soggetti come immanente, in quanto
Assoluto, Dio è in comunicazione con i soggetti in
quanto assolutamente trascendente in direzione ascendente. Un interessante rapporto
tra il concetto di soggetto e quello di Dio sulla base
dell'attributo della trascendenza è quello stabilito da
Ornella Nobile Ventura: “[...] se la soggettività [...]
si presenta anch'essa come trascendente (Cfr.
Critica del Concreto, Pgr. 52) è perché
essa si offre al nostro pensiero con la stessa
irriducibilità a concetto, cioè misteriosità con cui ci si
presenta l'idea di Dio. Anche l'intimità del soggetto ci è
ignota [...] Anche il soggetto singolo è Mistero [...]
Realtà è proprio il concetto contraddittorio per
eccellenza, nel senso che mette il pensiero nella difficoltà [...]
e lo spinge nello stesso tempo a superarla superando il concetto
con il salto della fede [...] come certezza dell'<<al di là>>
(trans). Trascendens è ciò che io
in qualche modo so, eppure è <<trans>>
il mio saperlo: tale è la singolarità
dell'altro io, con il quale io convergo [...]
nel pensiero e nell'azione, senza tuttavia
mai assorbirlo [...] e tale trans è
l'Essere in sé, l'Ineffabile, l'Oggetto [...]"[98].
Inutile aggiungere parole a questa incisiva osservazione, se non
sottolineando il rapporto che tra questo trans,
questo al di là saputo ma non conosciuto, e la fede si viene
a stabilire: è la fede l'elemento chiave che consente
il sapere, elemento trans,
potremmo dire, anch'esso, perché trans-logico e trans-razionale
che Carabellese chiama sapere apriori, e che
consente l'apertura all'al di là metafisico come all'al di là
soggettivo nella comunicazione, comunicazione che però questo
al di là, e il suo Mistero, non esaurisce mai.
Queste osservazioni ci confortano sul valore
metafisico che già precedentemente si è rilevato Carabellese
attribuisce al soggetto nella specificità di significato che
egli dà a questo concetto, valore metafisico che va ben
al di là della natura di soggetto senziente volente
conoscente, e tanto meno esistente nel senso comune che
tale parola ha, e che, non irreggimentabile entro
la ristretta visione del soggetto morale,
vuole tendenzialmente aprire a una dimensione
spirituale che, seppure includente anche
l'uomo, non è di suo esclusivo appannaggio. E ci preme
sottolineare che tale dimensione spirituale include ma non
appartiene al soggetto, nel senso che per Carabellese non è una
proprietà, quasi che tra realtà e spiritualità vi sia
uno iato, una diversità strutturale da
colmare. In questo senso si può comprendere sul piano
gnoseologico la costante battaglia carabellesiana contro la divisione
soggetto-oggetto, che dualizza una realtà da Carabellese vista
come unica e indivisibile nella sua spiritualità (che egli
chiama Coscienza o Concreto e nelle ultime pagine
della Critica del concreto chiama Tutto), e
che vuole attribuire questa spiritualità al solo lato
soggettivo. E in questo senso ancora si può comprendere
sul piano ontologico anche la critica di
Carabellese all'idealismo soggettivo, che nell'assolutizzazione
del soggetto e nella sua identificazione con la spiritualità
vede da un lato la soluzione delle
aporie gnoseologiche e dall'altro l'essenza della realtà.
Carabellese è lontano da questa indulgente e ottimistica visione,
e più umilmente crede non che la spiritualità appartenga o
si identifichi con un soggetto sia pure assoluto, bensì
che la spiritualità non sia sul piano metafisico
soggettivizzabile. E in questo senso appunto è
infine comprensibile il suo immanentismo: la spiritualità è
la realtà stessa, l'Essere che tutto include,
e che secondo Carabellese solo con un'operazione surrettizia noi
possiamo definire Soggetto. Siamo qui insomma non nel pieno
dell'argomentazione filosofica, dove vige la
consequenzialità e la coerenza dello svolgimento delle
tesi: siamo invece ai presupposti che
impongono una scelta di campo non ulteriormente "dimostrabile"
- sebbene Carabellese affermi che la filosofia "o è
dimostrazione o non è" - e che segnano lo spartiacque tra
le correnti anche all'interno dello stesso
idealismo, spartiacque inteso come scontro frontale tra Weltanschauungen,
proprio perché quei presupposti non sono
negoziabili nel senso dell'argomentazione razionale, ma
solo assumibili nella direzione dell'opzione di fede, che mette
in gioco l'essenza più profonda dell'essere soggetto di ogni
filosofo, e che in fin dei conti si rivela essere una scelta
obbligata come adesione, per quanto conflittuale sempre
necessaria, al più proprio essere io. In
questo senso Carabellese respinge sia l'assolutizzazione
del soggetto, che abbiamo visto per lui essere spirito
singolare, sia la soggettivizzazione della spiritualità,
l'esser soggetto della spiritualità, che abbiamo visto
essere per lui la Coscienza come Tutto: è una
scelta di campo che può attendere la nostra adesione o il nostro
rifiuto, ma che comunque si presenta con quel carattere
ultimativo che sempre hanno i presupposti fondativi
di un pensiero. Risultano comprensibili allora la sua teoria
dell'inesistenza di Dio e la sua critica all'umanesimo
antropocentrico: l'uomo di Carabellese non è
più il centro dell'universo, né in senso empirico
né in senso teorico, perché più in alto dell'uomo
c'è il concreto come esperienza soggettivo-oggettiva,
quindi il soggetto come spirito, poi la Coscienza come
Essere-Sapere, quindi la Coscienza come Concreto
all'interno della quale vi è un
rapporto verticale tra Principio e termini e
un rapporto di intrinsecità
tra Oggetto e soggetti, quindi la Coscienza come Tutto il cui
centro è l' Essere in sé come Idea o Assoluto.
La metafisica teologica carabellesiana, sul piano speculativo
della Coscienza come Tutto, seppure al di là delle rappresentazioni
mitiche e delle mitopoiesi non solo religiose o popolari, ha
dunque un Centro. Ma
è possibile senza contraddizioni concepire
un Centro e nel contempo un'assoluta a-centralità
dell'Essere-Pensiero, in cui il Centro è
racchiuso in una totalità nella sua eterna infinita
dinamica? Nel quadro di riferimento carabellesiano,
etico prima ancora che concettuale, l'immanentismo e
l'oggettivismo non si trasformano mai in
assoluto panteismo, e un Centro, seppure
interno comunque distinto, e dunque, oltre che trascendente
l'essere nel quale immane, certamente, pur immanente,
trascendente la singolarità di ogni sua espressione,
Carabellese lo afferma. Nell'Essere in sé come
Idea, Carabellese esprime dal punto di vista del soggetto l'esigenza
che la Coscienza come Tutto abbia un
Centro, da lui chiamato via via Oggetto puro,
Dio, Principio, Unico, Assoluto, a seconda dei piani
e dei livelli a cui si pone la sua speculazione. Ecco
allora che, al di là della sua valenza filosofica, l'operazione
culturale di Carabellese, seppure lontana dall'ottimismo
centralizzante o anche dalla chiusura difensiva nella
dimensione dell'umano, mira comunque alla ricerca di
un senso che conservi e all'uomo e a Dio una presenza positiva in
quell'orizzonte di significati che sul piano morale ed etico va
a costituire il presupposto teorico dell'agire pratico nel mondo.
Riassumendo, si può affermare che trascendenza e immanenza
nella loro reciprocità determinano il rapporto tra i distinti della
Coscienza[99].
Il contrasto e la contraddizione
che taluna critica ha voluto vedere in Carabellese tra
immanentismo e trascendentismo scompaiono se si tiene a mente
che Carabellese rifiuta sia l'assoluta trascendenza nel
senso di assoluta separazione tra Dio e Io che l'assoluta immanenza
nel senso di assoluta identificazione tra Dio e
Tutto[100],
e se si considera per immanenza l'intrinsecità e
per trascendenza l'ulteriorità, l'inesauribilità che richiede al
soggetto uno sforzo incompiuto. Pertanto vanno distinti bene i
livelli ai quali trascendenza e immanenza si
pongono sul piano metafisico: l'inesauribilità del
Principio, e dunque il trascendentismo, è sostenuta da
Carabellese e sostenibile in sede teoretica laddove si guardi alla
trascendenza sia dal punto di vista della singolarità, sia essa
del soggetto, ma anche dell'ente tout court, sia
dal punto di vista della totalità, mentre
l'immanentismo è altrettanto sostenibile
sia dal punto di vista della coscienza soggettiva
sia se ci si pone al livello della totalità dell'essere,
a patto che si intenda tale immanentismo come presenza
positiva, nella Coscienza come Tutto, dell'Essere
in sé come spiritualità, che lo
pervade sostenendolo in un miracolo continuo che è la
creazione secondo Carabellese, e che è continua rivelazione.
Pertanto, nonostante Carabellese affermi, con espressione estremamente
suggestiva, che nel Concreto "palpita" Dio[101],
da ciò non si può senz'altro concludere, per
quanto in alcuni luoghi Carabellese vi possa propendere, per un
panteismo che sostenga un "Deus sive Natura"
senza residui, sebbene la tesi dell'inesistenza di Dio
ha spinto alcuni critici in questa direzione. Infatti,
anche se Carabellese non
lo dice, l'idea immanentistica e panteistica di un Deus sive
Natura, mentre esaurisce l'universo nella sua totalità
- quello che Carabellese chiama la Coscienza come Tutto -
in Dio, non può però esaurire Dio nell'universo,
come egli afferma nelle ultime pagine della Critica
del concreto, cioè identificarlo senza residui con
esso, proprio perché il suo principio è la
spiritualità attiva. Il Dio di Carabellese vive e palpita
nella natura come Tutto-Coscienza, e in questo senso
è un Deus sive Natura, ma poiché è
spiritualità dinamica, continuamente lo trascende perché quel Deus
sive Natura è la
manifestazione visibile - potremmo dire l'atto continuo
che, appunto perché continuo nella temporalità eterna come durata,
è inesauribile - di quella spiritualità. In questo senso la
trascendenza di Dio non si verifica soltanto al
livello della singolarità degli enti, siano essi soggetti
o oggetti, e non si riferisce soltanto all'inoggettivabilità
che fa sì che per il filosofo Dio costituisca lo sforzo sempre
inconcluso - lo scacco dell'esistenza jaspersiano - ma
riguarda invece anche il livello della totalità dell'essere, il
livello del Tutto-Coscienza, a partire dall'accento posto
più volte da Carabellese sull'essere il
Principio implicito non solo nella prospettiva soggettiva, che
pure è metafisica, ma anche nella prospettiva metafisica
in senso stretto, ossia dal punto di vista del
Tutto. In questo senso la sua inesauribilità
e implicitezza non riguarda più soltanto il soggetto,
ma lo sviluppo stesso dell'universo, che nell'esplicarlo
non lo esaurisce, e non esaurendolo non può identificarvisi.
Panteismo e immanentismo risultano allora solo un aspetto della
visione metafisica di Carabellese, alla quale, si è
cercato di mostrare, è altrettanto indispensabile il
trascendentismo: tra immanenza e trascendenza si stabilisce così
un circolo di rimandi che nell'ulteriorità della trascendenza
impediscono la morta staticità dell'immanenza e che nella
spiritualità dell'immanenza impediscono l'alterità e la
separatezza della trascendenza. L'eco di Spinoza, non a
caso anche lui accusato di ateismo, è qui più evidente
che altrove, anche se Carabellese è lontanissimo, se non per
intenzione per temperie culturale, nonostante dichiari che la
filosofia è dimostrazione e nonostante a Spinoza abbia
dedicato quattro corsi inediti dalla Cattedra di
Storia della Filosofia a Roma, dal rigore
dimostrativo e dall'ansia di sistema che caratterizzano il
filosofo olandese. In questo immanentismo
che non si trasforma mai in radicale panteismo,
e in questo permanere del dualismo ad esso collegato tra Uno e
Tutto, sono le ragioni della vicinanza di fatto di Carabellese al
cattolicesimo e al pensiero cristiano, che da un lato
sottolineano l'immanenza di Dio in tutto l'Essere,
dall'altro rivendicano la sua trascendenza. Allora la risposta a
se è possibile concepire metafisicamente una Coscienza
radicalmente panteistica è, riguardo Carabellese,
senz'altro negativa: soltanto il panteismo più radicale può
forse fare a meno di un Centro perché si trasforma
in un assoluto monismo nel quale il dualismo
implicito e inevitabile nel concetto di Centro, Principio,
ecc., viene eliminato da una concezione unitaria dell'essere priva di
articolazioni interne e di livelli dell'essere. Concettualizzare questo
Centro, che Carabellese chiama Principio o Assoluto, in termini
soggettivi[102],
significa non aver colto la sua dimensione di Idea. Per chi,
come Carabellese, profondamente religioso e
assetato di Assoluto, ha scelto di
non praticare la strada del silenzio mistico e della
teologia negativa, né di affidarsi al rassicurante
rifugio di una fede ortodossa lasciando libera la
speculazione di esercitarsi in altri campi, né di identificarsi
definitivamente in un pensiero non suo che al tempo stesso colmasse
sete di sapere e sete di Assoluto, l'unica via percorribile,
scelta ma anche assunta, resta quella di una
ricerca personale che, nella tensione e nell'incontro tra
ragione e fede, di una fede che è ragione e di una
ragione che è fede, costruisse, nel dialogo talora appagante
talaltra aspro con autori coevi e passati, una propria
metafisica in cui filosofia e teologia, scisse sul
piano storico, e filosofia e religione, da lui stesso
distinte sul piano concettuale, finiscono, se non certo con
l'identificarsi, con l'incontrarsi in una nuova sintesi di
pensiero, per quanto provvisoria e aperta a ulteriori sviluppi.
E' da notare allora che forse più di ogni altro è il termine
Spirito che consente di mettere in relazione, facendole
interagire tra loro senza entrare in contraddizione, l'immanenza
e la trascendenza. Sebbene infatti
Carabellese non lo usi quasi mai e preferisca di volta in
volta i termini Principio, Oggetto puro e Dio,
il concetto di Spirito, o anche quello da lui appropriatamente
usato di Assoluto, esprime bene una
presenza immanente all'essere ma nel contempo ad esso eccedente,
una presenza che, nella sua ulteriorità
implicita nell'essere che divenendo la esplica,
perciò stesso rimane sempre trascendente nella sua
inesauribilità[103].
Il concetto di Spirito,
congiunto alla sua immanenza
nell'essere, rende possibile la depersonalizzazione e
de-entificazione della Trascendenza, ma anche la sua non alterità ed
estraneità rispetto all'essere stesso, oltre il quale, come
esplicazione dello stesso Spirito, non vi è nulla (nel senso che
anche il nulla è una forma d'essere). Il concetto di
Spirito congiunto alla sua trascendenza intesa come
implicitezza ne segna,
dal punto di vista soggettivo come dal punto di vista
oggettivo, l'inesauribilità.
[1]
Secondo
Ornella Nobile Ventura, l'antiumanesimo carabellesiano si sposa
con il suo antisoggettivismo che nega l'identificazione dello
Spirito con l'uomo, seppure inteso non in senso empirico ma come
soggetto puro, ed anche questa distinzione tra soggetto empirico e
soggetto puro, propria dell'idealismo e del neoidealismo, è da
lui rifiutata: cfr. O. Nobile Ventura, Filosofia e religione in
un metafisico laico: P. Carabellese cit., pp. 164 sgg. [2]
P.
Carabellese, Postilla
a IV: Trascendentalità e non trascendenza della
filosofia, 1940, in Id., Che cos'è la filosofia? cit.,
Postilla al Saggio IV: Che cos'è la filosofia? cit., 1921,
p. 124. [3]
In questa interpretazione mi conforta anche il
giudizio di Edoardo Mirri. Cfr. E. Mirri, Introduzione cit.
a P. Carabellese, Il problema teologico come filosofia cit.,
pp. V-XVIII, in partc. pp. XI e XVII. Il problema di Carabellese,
sottolinea Mirri in consonanza
con un'analoga interpretazione di Semerari, è quello della
riaffermazione dei soggetti molteplici nella loro concretezza
come appartenenti alla coscienza, riaffermazione necessaria dopo
l'idealismo post-kantiano che li ha ridotti a meri fenomeni, e
negati nella loro molteplicità. Si è cercato di mostrare sin qui
che tale interpretazione, pur giusta nel cogliere un aspetto del
pensiero di Carabellese, non centra del tutto la specificità del
discorso carabellesiano, che è molto più complesso. [4]
Questa
sottolineatura della coscienza carabellesiana come ambiente
omnicomprensivo la si ritrova concordemente anche in Semerari, il
quale si chiede che cosa Carabellese intendesse per Coscienza,
"[...] di cui la filosofia doveva essere riflessione
trascendentale? Perché C. riteneva la coscienza non solo il primum
dell'esercizio filosofico [...] il presupposto della filosofia
[...] ma pure il primum tout court nel senso che essa è
[...] [qui cita C.] 'L'ambiente, dal quale nessuno di noi operanti
con coscienza può essere mai escluso' [P. Carabellese, La
coscienza, in AA.VV., Filosofi italiani contemporanei,
a cura di M. F. Sciacca, Marzorati, Como, 1944, II ed. Marzorati,
Milano, 1946, p. 206], ambiente 'non umano soltanto, non soltanto
cosmico, ma ontico (cioè comprendente ogni ente) [...]'" [Ibidem,
p. 208]. Cfr. G. Semerari, L'ontologismo critico di P.
Carabellese. Genesi e significato cit., in AA.VV., P.
Carabellese, il <<tarlo del filosofare>> cit., pp.
10 sgg., in partc. p. 18. Tale centralità della coscienza in
Carabellese però, ci sembra necessario rilevare, appartiene, come
detto, a un periodo specifico del suo percorso filosofico, ma non
può essere considerata tale nel complesso del suo pensiero, che,
come mostrato, si sviluppa in un periodo metafisico in cui essa
Coscienza costituisce un aspetto del discorso carabellesiano
sull'Essere. [5]
P.
Carabellese, Critica del concreto cit., p. 105. [6]
P.
Carabellese, La filosofia dell'esistenza in Kant cit., p.
443. Altrove dirà: "I realisti trascendentisti [...] e gli
idealisti umanisti dell'idealismo soggettivistico post-kantiano
[...] gli uni per superare insieme con la coscienza umana, la
coscienza, gli altri per limitare la coscienza alla coscienza
umana [...] hanno lo stesso vizio d'origine: l'identificazione
della coscienza con l'umanità." Cfr. P. Carabellese, Che
cos'è la filosofia? cit., p. 124. [7]
Franco
Fanizza ad esempio ricorda che alcuni, come Ornella Nobile
Ventura, hanno interpretato questa dottrina come implicita
esigenza religiosa e ascetica, mentre altri, come Luciano Anceschi,
come espressione di un pensiero laico. Cfr. F. Fanizza, Conoscere
ed essere: Carabellese e l'esigenza dell'ontologismo integrale cit.,
in AA.VV., P. Carabellese, il <<tarlo del filosofare>>
cit., p. 80. In questo saggio Fanizza, alle pp. 45-53, introduce
alcune brevi note di storia della critica carabellesiana,
intersecate con note sulla bibliografia carabellesiana e divise,
al contrario delle nostre, tematicamente e non cronologicamente. [8]
E' ciò
che fa Rocco Donnici, Comunità e valori in Pantaleo
Carabellese cit., passim, in partc. p. 54, dove
afferma, cogliendo senz'altro alcuni aspetti del concetto
carabellesiano di coscienza, che questa non è mai oggetto di
conoscenza tematica, né è concetto o idea, ma condizione di
possibilità di ogni atto di coscienza del soggetto. Molto
convincente mi sembra viceversa l'interpretazione del pensiero
carabellesiano come metafisica del dover essere, laddove gli
uomini, nell'azione, esplicano la coscienza che da implicita si fa
esplicita. Cfr. Ibidem,
p. 102 sg. [9]
Si può
situare lungo questa
linea interpretativa l'analisi che della Critica del Concreto carabellesiana
fa Giuseppe Semerari nel suo La sabbia e la roccia cit.,
pp. 40 sgg., dove afferma che la critica del concreto fu
nient'altro che critica della coscienza. Il problema della critica
della ragione doveva essere staccato dai limiti angusti
dell'intelletto come ragione conoscitiva, per allargarsi alla
coscienza quale fondamento del sapere ma anche del fare. Pertanto
Carabellese opera una radicalizzazione del kantismo, nella quale
il Kant cui Carabellese si rifà non è il Kant criticista. Ma
Semerari vede nell'ontologizzazione a cui Carabellese sottopone la
coscienza, facendone l'essere e l'apriori incondizionato oltre il
quale non è possibile andare, l'estremo tentativo di sottrarsi
alla crisi dei valori, disconoscendo dunque che il vero apriori
incondizionato è l'Essere. Cfr. Ibidem, pp. 51 sgg. [10]
Ci
conforta in questo senso l'interpretazione di Silvano Buscaroli, La
rilevanza perenne di Carabellese, nell'ascesi di coscienza, in
rapporto al pensiero europeo cit., in AA.VV., Pantaleo
Carabellese, il <<tarlo del filosofare>> cit., p.
196 e pp. 208-210. Secondo Buscaroli, anch'egli concorde con la
maggior parte dei critici nel definire il concetto di Coscienza il
fulcro dell'ontologismo critico, Carabellese con questo concetto
intende esprimere la totalità del reale, tanto che è possibile
avvicinarlo all'Umgreifende jaspersiano, sebbene poi in
Carabellese la Coscienza si presenti come concetto articolato e
non indefinito. Se concordiamo sul fatto che
da un lato essa è unitaria e omninglobante, al di là,
al di fuori e al di sopra della quale non è nulla, non
altrettanto sul fatto che dall'altro essa è varia e plurima
soltanto per la pluralità dei centri di coscienza soggettivi
nei quali, potremmo dire, si incarna. Nell'essere la Coscienza
ciò di cui non v'è al di là, ma tale che comprende tutto,
Buscaroli vede il richiamo all'antico concetto di Essere: non
l'essere predicativo raggiunto per astrazione che finisce per
identificarsi col nulla nella sua assenza di particolarità, bensì
l'Essere pieno che di tutte le cose è onnipervasivo. [11]
P.
Carabellese, E' possibile filosofare?, discorso inedito
tenuto presso la Sezione di Bologna dell'Istituto degli Studi
Filosofici nel 1941, poi stamp. in Id., Che cos'è la filosofia?
cit., p. 227. La via ontologica è possibile per "[...]
l'immanenza (intrinsecità) dell'Assoluto alla coscienza
singolare [...]." (Ibidem, p. 226), Assoluto che è quindi
accessibile a ogni coscienza singolare, ma che da quella del
filosofo, e in specie del metafisico che per Carabellese è il
vero filosofo, viene tematizzato in modo specifico, in modo tale
che il sapere comune per Carabellese "ha" l'essere perché
glielo "dà" il sapere filosofico, altrimenti
"[...] sarebbe il sapere del prigioniero della caverna
platonica: non distinguerebbe [...] l'apparire dall'essere."
Cfr. Ibidem, p. 228. [12]
P.
Carabellese, Coscienza comune e filosofia, discorso inedito
del 1931 poi stamp. in Id., Che cos'è la filosofia? cit.,
p. 182. Anche Kant secondo Carabellese concepisce l'essere secondo
il vecchio realismo dogmatico della contrapposizione
dualistico-sostanzialistica di essere e pensiero, di soggetto e
oggetto, e quindi non comprende la sua stessa scoperta, che
consiste non nell'inconoscibilità della cosa in sé che pone
limiti alla conoscenza, bensì (come felicemente nota Semerari a
p. 63 del suo già cit. La sabbia e la roccia) nella
"sinteticità soggetto-oggettiva del reale", che il Kant
critico concepisce ancora in termini gnoseologici e che
Carabellese vuole invece interpretare in termini ontologici,
secondo il suo progetto di una nuova metafisica critica, che si
vede già anche in questo brano del discorso del 1931. [13]
Secondo
Semerari, è proprio la concezione dell'essere come Coscienza o
della Coscienza come essere uno dei motivi profondi del rifiuto
acceso del neotomismo, la cui separazione realistica di essere e
coscienza era secondo Carabellese il tratto comune anche
all'idealismo e all'attualismo, implicita nel primo, esplicita
nei secondi. Cfr. G. Semerari, L'ontologismo critico di P.
Carabellese. Genesi e significato cit., n. 19, p. 16. Ci
sembra invece di aver messo in luce, nel piccolo saggio Per una
storia della critica, che il realismo scolastico, nelle
espressioni di pensiero di Gustavo Bontadini e Sofia Vanni Rovighi,
concordi con Carabellese nel ritenere l'essere non altro dal
pensiero, ma lo stesso pensiero: i punti di discordanza sono
altri. [14]
Interessante
a questo proposito la convergenza individuata da Gian Franco Morra
tra Carabellese ed Heidegger riguardo allo sviluppo della storia
della filosofia come oblio dell'essere. Morra così riassume la
vicinanza tra i due pensatori, al di là delle notevoli differenze
che è necessario non dimenticare: "1) Il rifiuto della
categoria storiografica dell'Entwicklung, che consente a
entrambi una comprensione del significato della filosofia
presocratica, scaturisce dal comune antiumanesimo dei due
filosofi, cioè dal loro comune ontologismo, dal rifiuto, cioè,
di una considerazione antropomorfica della realtà. 2) La critica
dell'idealismo e del realismo [non scolastico] vuole in entrambi
evitare la frattura tra essere e pensiero, riproponendo l'originaria
unità, che Carabellese definirebbe ontocoscienziale e Heidegger
ontologica, di un Sapere che è e di un Essere che sa. 3) Lo
sviluppo della storia del pensiero occidentale è vista da
entrambi come oblio dell'essere, come perdita, cioè, dell'originaria
unità causata dal trionfo dello scientismo aristotelico e delle
filosofie umanistiche." Cfr. Gian Franco Morra, Carabellese
e Heidegger interpreti di Parmenide cit., in AA.VV., Giornate
di studi carabellesiani cit., passim e in partc. p. 508. Nel
contempo, Armando Rigobello sottolinea come ambedue i pensatori
abbiano rivolto la loro attenzione al rapporto di Kant con la
metafisica, che costituisce per entrambi la cifra specifica del
filosofo di Konisberg, dal momento che il problema ontologico
fonda e apre la possibilità del problema gnoseologico, e non
viceversa. Cfr. A. Rigobello, Rapporti teoretici ed implicanze
storiografiche tra la interpretazione storiografica di Kant e
quella di Heidegger, Ivi, pp. 545 sgg. [15]
P.
Carabellese, L'attività spirituale umana. Prime linee di una
logica dell'Essere cit., p. 42. [16]
Abbiamo
già visto come secondo Carabellese Cartesio affermi il cogito
Deum, per cui il suo valore, al di là della gnoseologia e
dell'ontologia, è nella metafisica. [17]
Anche
secondo Edoardo Mirri Carabellese recupera di Cartesio l'Essere
intrinseco al cogito, l'Essere presupposto del pensare e ad esso
intrinseco. Cfr. E. Mirri, Introduzione cit. a P. Carabellese,
L'attività spirituale umana cit., p. 16. [18]
Con la
concezione della soggettività, come anche con l'attenzione al
Concreto, Carabellese si inserisce in quel vasto movimento non
solo filosofico ma anche culturale (si pensi in campo artistico
all'espressionismo) a cavallo tra Otto e Novecento di ritorno al
concreto, di ritorno, per dirla con Husserl, "alle cose
stesse", che nel campo della soggettività segna il definitivo
distacco dall'intellettualismo e di cui parla Giuseppe Cantillo. [19]
P.
Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., n. 1 di p.
187-88. [20]
P.
Carabellese, L'Essere e il problema religioso cit., pp. 161
sgg. [21]
Ibidem,
p. 181. In questo, al di là della polemica, egli si incontra con
la neoscolastica. [22]
Bisognerebbe
confrontare questo suo rifiuto del teismo del 1914 con la
posizione espressa in Stato etico o teismo politico?, in
"Archivio di Filosofia", Quaderno La crisi dei valori,
Roma, 1945, pp. 7-14, poi rist. come cap. XIX in Id., L'idea
politica d'Italia, Ediz. F. V. Nardelli, Roma, 1946. [23]
P.
Carabellese, L'Essere e il problema religioso cit., p. 238.
In quest'opera la scissione tra religione e filosofia è ancora
evidente: sebbene religione e filosofia vogliano essere ambedue
tentativi per oltrepassare l'esperienza e porsi i "massimi
problemi", hanno fondamenti diversi: la religione ha a fondamento
l'eteronomia perché crede in un Essere trascendente, la filosofia
si situa sul terreno dell'autonomia della ragione. Cfr. Ibidem,
p. 247. [24]
O.
Nobile Ventura, Filosofia e religione in un metafisico laico:
Pantaleo Carabellese cit., p. 58. [25]
P.
Carabellese, Critica del concreto cit., Appendice I B
Concreto, pp. 220 sgg., citaz. p. 222. [26]
Ivi. [27]
P.
Carabellese, L'idealismo italiano cit., p. 278. [28]
Secondo
Semerari, il Concreto, che per lui è "individuazione
esistenziale, plurima e relazionale dell'universale", è
perciò "sintesi" di particolare e Universale, sintesi
con la quale Carabellese si oppone sia alla concezione
immanentistico-idealistica sia a quella
realistico-trascendentistica, e la cui concezione è già
chiara nell'articolo del 1913 su "l'Unità" Il
concretismo de 'l'Unità", come anche in Felicità o
dovere? del 1915 e in La coscienza morale come teoria della
volontà del 1917. Ma Semerari, che dà una lettura
trascendentale e non metafisica del Concreto come sintesi e non
come distinzione di particolare e Universale, critica infatti l'ontologizzazione
cui Carabellese sottopose la Coscienza. Cfr. G. Semerari, La
sabbia e la roccia cit., pp. 52 sgg., in partc. pp. 57 e 61. [29]
Ibidem,
p. 222. [30]
Secondo
Semerari Carabellese chiama concreto
quel processo di "concrescenza materiale/formale"
che, ricordiamo, gli derivava da Masci. Egli nota acutamente che
per Carabellese il concreto non era, contrariamente a quello che
ancor oggi generalmente si pensa, l'opposto dell'astratto, il
reale contrapposto all'ideale, né il particolare vuoto di
universale: era invece la concrescenza strutturale di condizioni
distinte e trascendentali della coscienza quali identità e
diversità, spazio e tempo, singolare e universale, soggetto e
oggetto, io e Dio, pratica e teoria, ecc. "[...] che la
intera tradizione filosofica occidentale aveva continuamente
scisse l'una dall'altra, rendendole astratte, e [...] le aveva
alternativamente scambiate per il concreto stesso, laddove esse
sono ciò che sono soltanto in virtù del simultaneo e reciproco
concrescere e, come subito nota un critico di C. [Ugo Spirito, L'idealismo
italiano e i suoi critici, Le Monnier, Firenze, 1930, pp.
153-62, II ed. Roma, 1974] [...] nel senso di una perfetta
parificazione dei diritti dei due
termini, sì che l'oggetto non sia prodotto del soggetto, né
il soggetto dell'oggetto." Semerari dà dunque del concreto
carabellesiano un'interpretazione non metafisica come Coscienza,
che a noi qui invece sembra necessaria. Cfr. G. Semerari, L'ontologismo
critico di P. Carabellese. Genesi e significato cit., pp. 22
sgg. [31]
P.
Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., pp. 363-64. [32]
P.
Carabellese, L'Essere. Parte II: Io cit. [33]
P.
Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., p. 364-65. [34]
P.
Carabellese, L'idealismo italiano cit., p. 183. [35]
P.
Carabellese, Introduzione a Id., Il concetto della
filosofia da Kant ai nostri giorni I. Kant cit., p. 8. [36]
A questo proposito, O. Nobile Ventura, in Id.,
Filosofia e religione in un metafisico laico: P. Carabellese cit.,
afferma con Carabellese che se la coscienza fosse solo attributo
umano, se ne dovrebbe concludere un tempo in cui non sia stata,
oppure immaginare un'eternità dell'uomo. Un altro studioso di
Carabellese già ricordato, Rocco Donnici, considera il suo
antiumanesimo soltanto formale: proprio perché l'uomo per
Carabellese partecipa dell'eternità della spiritualità, è
rinvenibile nel suo pensiero un nuovo umanesimo che, superando l'antropocentrismo,
riafferma però la dimensione infinita della coscienza dell'uomo.
E' nota la polemica di Carabellese contro ogni visione
naturalistica e fenomenica dell'uomo che tende ad appiattirlo
sulla dimensione del divenire e della storia. Il partecipare
l'uomo di questa coscienza
infinita significa allora superare le barriere della finitezza
naturale e fenomenica e, attraverso la sua struttura spirituale,
porsi al di là di essa nell'infinito. Cfr. Rocco Donnici, Comunità
e valori in Pantaleo Carabellese cit., p. 96 sg. [37]
Nella Prefazione
alla II ed. della sua Critica del concreto cit., p.
XVII, Carabellese afferma esplicitamente che "[...] lo
spirito è eterno e della filosofia oggetto è proprio lo spirito
in quanto eterno [...] La filosofia perché è riflessione sull'Assoluto,
può scoprire, non può e non deve creare: sarebbe la sua una
creazione dell'Assoluto." [38]
P.
Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., p. 283. Anche
altrove Carabellese ritorna sul concetto di una coscienza che non
può ridursi a mera coscienza umana, né tantomeno a coscienza
empirica, psichica, perché ciò significherebbe ridurre la spiritualità
a psichicità, mentre per Carabellese lo spirito è eterno, non
nasce e non muore: cfr. P. Carabellese, La filosofia
dell'esistenza in Kant cit., p. 411 sg. [39]
P.
Carabellese, E' possibile filosofare? cit., in Id., Che cos'è la filosofia? cit., pp. 286 e 300. [40]
Ibidem,
p. 279. [41]
Ibidem.,
p. 286. [42]
Ibidem,
p. 281. Si veda anche, per il chiarimento che stiamo cercando di
apportare, sempre a p. 281, non solo il titolo, ma anche l'inizio
del par. 18: "Il vivere non toglie la coscienza pura.
- a) Ma il vivere terreno, che diviene, consente questa elevazione
nella coscienza, che è?". La sottolineatura è mia, per
evidenziare sia l'elevazione, sia, soprattutto, la coscienza che
è, la Coscienza, che fonda tale elevazione in essa. Anche del
titolo, mirante a salvaguardare la dignità della vita terrena, ci
preme invece mettere in evidenza la coscienza pura, ossia la
coscienza che è, la Coscienza. [43]
Ibidem,
p. 282. [44]
Ibidem,
p. 281, n. 1. [45]
Cfr.
anche, a questo proposito, Edoardo Mirri, Il senso cristiano
della persona e della società nel pensiero di P. Carabellese,
in AA.VV., Giornate di studi carabellesiani cit., in partc.
p. 200, e Ernesto Pomilio, Il messaggio carabellesiano,
Ivi, pp. 228 sgg. Pomilio cita una bella pagina del carabellesiano
La coscienza cit., nella I ed. di AA. VV., Filosofi
italiani contemporanei cit.,
p. 181, in cui Carabellese, opponendosi all'esistenzialismo
e all'hegelismo, afferma che la coscienza pura sottrae il vivente
alla morte, in quanto lo trasforma in pensante e così gli fa
oltrepassare il divenire transeunte della natura per porlo
nell'essere eterno dello spirito. Pomilio sottolinea
come questa concezione sia un ideale ascetico della vita
che si ribella alla dimensione finita del tempo (Carabellese la
definirebbe della temporaneità) e, trascendendo se stessa nel
pensare puro, si situa nell'infinita eternità.
Questo stesso riconoscimento del punto dirimente rispetto
all'esistenzialismo costituito dalla diversa concezione dell'uomo
tra infinitezza e finitezza viene
anche da Enrico M. Forni, Il problema dell'esistenza in
Kant, nell'interpretazione di Pantaleo Carabellese cit., in
AA.VV., Giornate di studi carabellesiani cit., pp. 307 sgg.
Ma, seppure il discorso di Forni risulta allargato e articolato -
egli mette infatti in rilievo come Carabellese risentisse
dell'interesse europeo nei confronti dell'esistenzialismo che si
verificò intorno agli anni Quaranta, da cui nasce l'opera carabellesiana
La filosofia dell'esistenza in Kant, cui Forni dedica nel suo saggio
approfondita analisi -, la sua interpretazione dell'Essere-Sapere
come coscienza trascendentale in senso kantiano, che segnerebbe
la sostanziale convergenza nel ripensamento del pensiero kantiano
di Carabellese con l'esistenzialismo, nonostante egli metta in
luce di tale concezione dell'essere-pensiero l'importanza, ci
sembra non colga il fulcro della questione, che non è
trascendentale ma metafisica. Ma poi Forni, seppur non parlando di
metafisica critica ma di ontologismo critico, non manca di
sottolineare che, oltre alla ridefinizione del problema
dell'esistenza, ciò che condusse esistenzialismo e ontologismo
critico a percorrere strade diverse fu che quest'ultimo perverrà
ad un allargamento della coscienza fuori dai confini
gnoseologici in una direzione oggettiva che oltrepassa la
determinatezza finita della coscienza puramente umana. [46]
P.
Carabellese, E' possibile filosofare? cit., in Id., Che
cos'è la filosofia? cit., pp. 342 e 344. [47]
Ibidem,
p. 284-85, n. 1. La sottolineatura è mia. Ribadendo che solo la
Coscienza propriamente è, Carabellese ne La filosofia
dell'esistenza in Kant cit., p. 440 sg., afferma che solo
essa, considerata nella sua purezza, ci indica l'Essere, superando
l'empiricità del divenire che invece risulta alla coscienza
empirica. [48]
Ibidem,
p. 284. Le sottolineature sono mie. [49]
Un
primo originario nucleo di questa concezione dei soggetti si può
rinvenire ne L'Essere e il problema religioso. A proposito del
"Conosci te stesso" di B. Varisco cit., pp. 17-43.
Qui Carabellese, nell'affrontare il problema dell'Essere, muove
dall'analisi della concezione varischiana della soggettività,
mettendo in rilievo come per il Varisco del Conosci te stesso il
soggetto empirico consiste in uno sviluppo progressivo che va
dalla subcoscienza - intesa come unità primitiva di
organizzazione della coscienza - alla coscienza chiara e distinta,
considerata come unità secondaria. Quindi il soggetto si presenta
come unità formale conoscitiva, unità che se come secondaria è
conoscente, come primitiva non è però mai conoscibile nel senso
di sperimentabile. L'essere il soggetto come coscienza
secondaria un'unità formale
conoscitiva è di chiara derivazione kantiana come forma che
unifica il molteplice dell'esperienza, centro di attività
spontanea conscia che organizza in unità l'esperienza. Ma è
nell'essere il soggetto un'unità primitiva subconscia non
sperimentabile che dal piano trascendentale si ha un salto nel
piano metafisico dell'Individuum metafisico e dell'Essere:
infatti in tutte le unità primitive è implicito un elemento
unico e comune che le costituisce tutte, l'Essere, il quale,
indeterminatissimo in sé, trova in ciascuna unità primitiva la
propria determinazione, così da rendere ciascuna differente
dall'altra. Mentre l'Essere è uno in ogni spontaneità,
accomunandole tutte, ognuna ritrova la propria specificità nel
sentimento, elemento alogico e irrazionale, ma ancor più nel
rapporto per cui si distingue dagli altri io. Oltre a sottolineare
l'importanza di questa concezione del soggetto, che già dal 1914
era in connessione al problema dell'Essere, vorremmo intravvedere
qui un primo affacciarsi di quella originaria intersoggettività
che caratterizzerà il pensiero maturo di Carabellese. [50]
Cfr.
P. Carabellese, Critica del concreto cit., pp. 124 sg.:
"[...] questi distinti della coscienza, molti e unico,
singolare e universale, soggetto e oggetto, sono condizioni
trascendentali della coscienza [...] inseparabili, e in questa
loro inseparabilità sono l'essere concreto, la coscienza attiva
[...] distinzione [che] è ineliminabile, come distinzione dei
distinti e reciproca loro richiesta. Questo è il vero valore
della trascendentalità kantiana, dalla quale la filosofia si è
allontanata, ponendo come trascendentale il soggetto. [...]
trascendentali invece sono i soggetti di coscienza, a condizione
che trascendentale sia anche, anzi prima, l'oggetto di
coscienza." Anche qui, come altrove, non possiamo fare a meno
di notare la compresenza del piano gnoseologico, del piano
trascendentale e del piano metafisico. [51]
Ambedue
le citazz. sono prese da Ibidem, pp. 161 e 163. [52]
Secondo
Luigi Cimmino, il concreto è per Carabellese struttura,
"[...] un orizzonte di rapporti che non suppone l'immediatezza,
l'antecedenza reale dei termini di cui è composta, bensì vive in
piena fusione con essi [...]": " [...] una struttura i
cui elementi sono inseparabili, o la cui separazione coincide con
la perdita di significato proprio degli elementi che la
compongono.", perché appunto tale separazione significa
l'astrattezza degli elementi, che solo nel rapporto e del
rapporto concreto vivono. Così, secondo Cimmino, il concreto è
per Carabellese la riaffermazione del valore della molteplicità,
che è sempre molteplicità in relazione strutturata. Affermare
che i termini della relazione non sussistono prima e
indipendentemente dalla relazione stessa, che è perciò
l'originario, significa, nota acutamente Cimmino, allontanare da
tali termini il surrettizio concetto realistico di cosa.
"[...] nell'<<ontologismo>>, concreto significa
essere assoluto, pensato come unità (l'unico Oggetto) di un
molteplice (dei molti soggetti)." Cfr. Luigi Cimmino, Carabellese
Il problema dell'esistenza di Dio cit., rispettiv. pp. 25, 26,
69. [53]
P.
Carabellese, L'idealismo italiano cit., p. 170 sg., e, più
in generale, pp. 170-78. [54]
Che la
coscienza come sapere l'essere implichi sempre un chi e un qualche
cosa, e che questo chi e questo qualche cosa siano stati separati
in un dualismo soggetto-oggetto che identifica il soggetto con la
coscienza e l'oggetto con l'essere è da Carabellese ripetuto
anche in altri luoghi: "A questo <<chi>> identificato
con la coscienza è stato dato, nella filosofia moderna, nome e
valore di soggetto; a quel <<qualche cosa>> estraniato
dalla coscienza è stato dato invece nome e valore di oggetto. Così
il dualismo di sapere e essere quasi si ipostatizzò [...]: il soggetto
sa, l'oggetto è [...]." Cfr. Ibidem, p. 184. [55]
Ibidem,
p. 177. [56]
P.
Carabellese, Critica del concreto cit., Introduzione,
p. XI. Anche ne L'idealismo italiano cit., p. 185,
Carabellese riprende la stessa argomentazione, considerando falsa
l'impostazione che vuole il soggetto come coscienza e l'oggetto
come essere, perchè priva "[...] di essere il soggetto e di
coscienza l'oggetto [...] la soggettività è la plurale
singolarità (di coscienza e di essere) espressa nel
<<chi>> [...] l'oggettività invece è l'unicità (di
coscienza e di essere) [...] il <<chi>> non resta
privo di essere; il <<qualche cosa>> non resta privo
di coscienza." [57]
Ibidem,
p. 187, e, più in generale per tutta questa argomentazione, pp.
183-191 e pp. 198 sgg. [58]
Questa
stessa critica avrebbe dovuto forse, all'epoca della polemica
sull'ateismo, leggere, in una bella nota sulla superbia ma anche
sulla necessità della libertà di pensiero del filosofo che
voglia far avanzare la ricerca, quello che Carabellese dice nel
mentre afferma consapevolmente la novità della propria riflessione
su Dio come Oggetto di coscienza, riguardo alle linee della sua
maturazione, attraverso "[...] Platone con l'idea, Anselmo
con l'argomento ontologico, San Tommaso e la scolastica con la
distinzione della realtà oggettiva dalla realtà formale, ecc.
oltre agli immediati incitamenti di Kant e Rosmini." Cfr. P.
Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., n. p. 162. [59]
Dario
Galli afferma che per la "[...] sua decisa e vigorosa
rivendicazione del valore della persona, intesa come soggettività
singolare e individuazione dell'Assoluto, nella sua realizzazione
dei valori, il Carabellese si inserisce in quella corrente di
pensiero, che dai primi decenni del secolo è venuta promuovendo
un profondo risveglio culturale e ha riscattato dalle negazioni
materialistiche le supreme idealità dello spirito. Ma, a differenza
di taluni suoi contemporanei che, nel fervore della polemica
antiintellettualistica si sono portati su posizioni irrazionalistiche,
per contrapporre a paradossi altri paradossi, il Carabellese non
ha negato mai il valore della ragione e la sua insostituibile
funzione." Cfr. D. Galli, Il valore teoretico e storico
dell'ontologismo critico cit., in AA.VV., Giornate di studi
carabellesiani cit., p. 358. Ciò sebbene si sia notato come
Carabellese attribuisca in alcuni luoghi della sua opera tale
valore non a tutti gli uomini, ma solo ai credenti, e che abbia
una concezione aristocratica del sapere. [60]
P.
Carabellese, Critica del concreto cit., p. 108. [61]
P.
Carabellese, Ho io coscienza di Dio?, Conferenza promossa
dal Centro Romano Studi presso l'Università degli Studi di Roma
nell'A.A. 1947-48, poi stamp. in AA.VV., Il problema di Dio cit.,
p. 68. [62]
Carabellese
in più luoghi dei suoi scritti adopera indifferentemente il
termine "essere" o il termine "coscienza" per
definire il medesimo
concetto, la Coscienza o Concreto. Invece ne La filosofia
dell'esistenza in Kant, ciò
che altrove definirà “coscienza"
qui è definito come "essere", all'interno del
quale vi è una distinzione tra l'Essere in sé, ossia l'Essere
unico, Idea, Dio, ed essere in altro, ossia essere molti, i
soggetti. Cfr., anche per ciò che si sta discutendo nel testo, P.
Carabellese, La filosofia dell'esistenza in Kant cit.,
pp. 522 sgg. Ma in un altro luogo della sua opera Carabellese,
evidentemente riferendosi alla coscienza come potenzialità del
soggetto e non alla Coscienza metafisica di cui ci stiamo
occupando, pone in rapporto l'Essere e la coscienza,
distinguendoli, quando afferma: "Noi traiamo dalla coscienza
la certezza che l'essere è; questo è principio inconfutabile. Ed
è anche principio dell'idealismo, giacché porta con sé
necessariamente l'altro, pel quale l'essere è della coscienza
[...]". Cfr. P. Carabellese, Critica del Concreto cit.,
p. 25. Ma rapporto significa
necessaria distinzione tra l'Essere e la coscienza, in
quanto l'Essere è Oggetto della coscienza, la quale a sua volta
è soggetto dell'essere. Infatti: "L'essere, adunque, essendo
essere della coscienza, deve essere saputo (dimostrato) da essa:
è stato perciò ritenuto oggetto della coscienza. Reciprocamente
la coscienza, essendo coscienza dell'essere, deve essere
entificata (affermata) da esso: è stata perciò ritenuta soggetto
dell'essere." Ibidem, p. 26. Ma dire distinzione tra
Essere e coscienza non significa dire separazione, poiché, come
si dice nella stessa p. 26,: "Essere e coscienza sono dunque
insieme come esigenze della stessa attività: la
concretezza." [63]
Ibidem,
p. 113. [64]
Ibidem,
p. 114. [65]
Ibidem,
p. 115. [66]
Ibidem,
p. 122. [67]
Giovanni
Cera, a proposito del concetto carabellesiano di Oggetto, afferma
che Carabellese mira
a superare l'alterità sia realistica che idealistica dell'oggetto
come estraneo. Ma poiché l’Oggetto è Dio, "L'ontologia
fonda o, addirittura, annulla la gnoseologia." Cfr. G. Cera, Sul
rapporto oggetto-soggetto nell'ontologismo di Carabellese cit.,
in AA.VV., Pantaleo Carabellese, il <<tarlo del
filosofare>> cit., pp. 143 sgg., p. 148. Anche Gustavo
Bontadini, che vede nell'unicità dell'Oggetto e nella molteplicità
dei soggetti i punti di maggior attrito con l'idealismo, riconosce
che si ha in Carabellese uno spostamento del concetto di oggetto
dal campo gnoseologico al campo metafisico. Cfr. G. Bontadini, Dall'attualismo
al problematicismo, La Scuola, Milano, 1945, parr. 9 e 10. La
nostra tesi, che riconosce la validità di queste interpretazioni,
è però più radicalmente quella che in Carabellese si avverte
una connessione del piano gnoseologico e di quello metafisico non
sempre adeguatamente supportata dalle argomentazioni, che, oltre a
risentire del continuo traslitterare di piano, nascondono spesso
altre argomentazioni inespresse che sono da ricostruire, come
abbiamo cercato di fare. [68]
P.
Carabellese, La filosofia dell'esistenza in Kant cit., p.
377-401, in partc. pp. 388-389. A p. 401 Carabellese riporta
l'esempio di Cristo che nel Discorso della Montagna rende esplicito
l'essere ognuno figlio di Dio: "Da Kant, che impoverì Cartesio,
bisogna risalire a Cartesio, che gnoseologizzò la scoperta
cristiana dei soggetti, bisogna risalire al Cristo del discorso
della montagna, che, con la sua divina feconda intuizione dei
pensanti come tutti, nella loro ciascunità, figli di Dio, fondò
la religione positiva più aderente alle esigenze di coscienza. In
filosofia bisogna certo spogliare tale intuizione del naturalismo
che è in quel <<figli>> e in quel
<<Padre>>, ma l'intuizione resta mirabilmente valida e
feconda." Quando Carabellese pensa alla comunità umana
basata sulla comunicazione tra le esistenze pensa dunque alla
comunità nella sua totalità, compresi coloro che si professano
atei. [69]
Silvano
Buscaroli considera il problema della comunicazione tra soggetti
uno degli aspetti più rilevanti del pensiero di Carabellese. In
questo contesto l'Oggetto diviene "ciò in cui e per cui si
pensa", ossia condizione prima e unitaria di possibilità
di tutti gli oggetti, garanzia dell'oggettività e dell'universalità
della conoscenza, e quindi fondamento della comunicazione tra i
soggetti stessi. Cfr. S. Buscaroli, La rilevanza perenne di
Carabellese, nell'ascesi di coscienza cit., in AA.VV., Pantaleo
Carabellese, il <<tarlo del filosofare>> cit., p.
197 e n. 20, p. 201. Ci sembra di dover sottolineare che il
discorso di Carabellese riguardi il piano metafisico dei soggetti
nel senso di pensanti-che-vivono e non solo in senso
empirico-esistenziale. [70]
Bisogna
sottolineare che questa concezione dell'essere soggetto e
persona in quanto nel
pensare affermo con gli altri il Principio unico conduce
Carabellese ad affermare, a p. 403 de La filosofia
dell'esistenza in Kant cit., che l'espressione cartesiana
"<<gli atei non possono avere scienza>>"
significa che "se questi veramente ci fossero tra i pensanti,
non sarebbero persone.", ossia che "coloro che si
professano atei non dicono nulla", ossia che sono insipiens,
non sanno quello che dicono, non pensano e non sanno. E poi
aggiunge: "Le persone sono dunque gli affermatori di Dio, gli
spiriti." E ancora: Ma la coscienza non è soltanto
ragionare: è anche credere. E perciò possiamo essere
persone." Il me puro, lo spirito, la vera soggettività, la
coscienza per Carabellese risiede dunque nella religiosità,
intesa sul piano umano non come credo determinato e specifico di
una religione storica, ma nel senso religioso che è a fondamento
di tutte. [71]
P.
Carabellese, Ho io coscienza di Dio? cit., in AA.VV., Il
problema di Dio cit., p. 63. [72]
Giorgio Fano, limitandosi in un primo tempo al
piano trascendentale, esprime in termini molto chiari il
rapporto tra soggetti e Oggetto come condizioni trascendentali del
Concreto. La molteplicità dei soggetti è condizione perché
possa darsi un'esperienza nella realtà e non solo nella
solipsistica condizione della mia fantasia: l'esperienza è sempre
qualcosa di condivisibile che non vale unicamente per me, e quindi
presuppone una soggettività molteplice. Soltanto in quanto il
contenuto di quell'esperienza è comune, esso è oggetto. Fano
illustra poi, passando dal piano trascendentale
al piano metafisico, con un paragone calzante il rapporto tra i
soggetti e l'Oggetto quando afferma: "[...] i singoli
soggetti virtuosi, i soggetti morali, sono tali in quanto
realizzano l'ideale del Bene, cioè l'oggetto della morale, ma
questo ideale [...] sussiste soltanto in quanto si realizza nelle
azioni degli esseri virtuosi." Cfr. G. Fano, La situazione
anacronistica di P. Carabellese, ultimo dei grandi metafisici,
in AA.VV., Giornate di studi carabellesiani cit., pp. 102
sgg., p. 106. [73]
P.
Carabellese, Il problema teologico come filosofia cit., p.
130, e, più in generale per la concezione della Coscienza, pp.
127-130. [74]
Cfr.
G. Semerari, Nota introduttiva a P. Carabellese, La filosofia
dell'esistenza in Kant cit., pp. VI sgg. [75]
Franco
Fanizza afferma che la trattazione carabellesiana del tema del
rapporto soggetto/oggetto anticipa e si inserisce in quello che è
il vero tema generale della nostra epoca filosofica, quella crisi
del soggetto e dell'oggetto che però in Carabellese non assume,
proprio per gli aspetti contenutistici della sua filosofia, il
significato di pensiero negativo: "Carabellese raffigurò
sempre se stesso, esplicitamente, non come filosofo della crisi,
ma come il teorico superatore di essa; non come o soltanto come il
distruttore di una certa trama e di un certo apparato logici e
metafisici, d'altronde in disfacimento, ma soprattutto come il (ri)scopritore
e, si è detto, il (ri)costruttore dell'autentico sistema
dell'Essere, ossia dell'unico e vero onto-logismo [...]". Cfr.
F. Fanizza, Conoscere ed essere. Carabellese e l'esigenza
dell'ontologismo integrale cit., in AA.VV., P. Carabellese,
il <<tarlo del filosofare>> cit., pp. 64 sg., p.
68. [76]
P.
Carabellese, Critica del concreto cit., p. 46. In questa
citazione si avverte già, sfumata,
la polemica contro un soggetto mutilato e ridotto a solo
soggetto epistemico cui tra poco accenneremo, come pure la
polemica nei confronti dello gnoseologismo. A proposito della Critica
del concreto, c'è da notare che gran parte dell'opera è
concentrata nell'analisi apparentemente gnoseologica ma in realtà
ontologico-metafisica del soggetto e dell'oggetto nonché del loro
rapporto, del loro significato e dei travisamenti ai quali sono
stati sottoposti nelle principali correnti del pensiero
filosofico. La ragione prima di quest'analisi è da Carabellese
esplicitata solo in un inciso di p. 99: "Oggi questo
ripensamento di quel che soggetto ed oggetto valgano per loro
stessi non si fa, ed è invece la condizione necessaria per lo
svilupparsi e progredire del pensiero speculativo [...]."
[sottol. mia]. Carabellese
afferma in altre parole che più a fondo della questione
conoscitiva si trova la questione metafisica, ossia che
radicalizzare la domanda critica su "come è possibile
conoscere" significhi porre l'altra domanda "come è
possibile essere" (nell'Introduzione, a p. XI, egli
farà un esplicito accostamento tra le due domande, dicendo
appunto che dalla prima egli non ha fatto altro che far scaturire
la seconda). E' come se ogni volta che noi ci poniamo la questione
conoscitiva non facessimo che porci in termini impliciti o
scarsamente consapevoli la domanda metafisica, la domanda
fondamentale, e che è solo tornando a questa, alla questione
radicale da cui nasce il pensiero, che questo stesso pensiero può
ulteriormente svilupparsi: "Sembra un ritorno ad una vieta
ontologia dogmatica, ed è invece il naturale sviluppo della
concezione critica della realtà." (ancora ivi, p. XI) [77]
Ibidem, pp. 48 sg. [78]
Secondo
Ivanhoe Tebaldeschi, Carabellese muove dall'esigenza di superare
la contrapposizione, nell'esperienza, tra l'in me e il fuori di
me. L'esperienza, nella sua originarietà e in qualunque sua
forma, è per Carabellese sempre rapporto tra l'io e il mondo,
rapporto che non è mai la conseguenza di una scelta, ma sempre
originariamente posto: l'io è essere in relazione, sia con gli
altri io nella struttura trascendentale della coscienza, che è
l'Io penso, sia con gli altri enti mondani, ossia nel Concreto.
Cfr. I. Tebaldeschi, L'essere e l'implicazione di coscienza nel
pensiero di Pantaleo Carabellese, in AA.VV., Giornate di
studi carabellesiani cit., pp. 149 sgg. Ci asteniamo dal
ripetere che a nostro parere la Coscienza assume in Carabellese
una dimensione metafisica e non solo trascendentale. [79]
Vorremmo
sottolineare che Carabellese chiama "antitesi della
soggettività" il fatto che il concetto di soggetto
significhi per lui da un lato ente attivo consapevole della
propria attività, dall'altro ente che passivamente riceve dal
mondo esterno stimoli ed azioni, "[...] in breve, soggetto ad
altro diverso da me e agente su di me." Cfr. P. Carabellese, Critica
del concreto cit., p. 75, e, in generale, pp. 75 sgg. [80]
P.
Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., p. 292, n. 1.
Carabellese si riferisce qui, in quest'opera ristamp. e ampl. del
1942, alle critiche mossegli da Padre Lombardi nella famosa
polemica su "La Civiltà Cattolica", già ricordata, del
1941, quindi posteriormente anche al XIV Congresso Nazionale di
Filosofia del 1940 in cui Gustavo Bontadini e Sofia Vanni
Rovighi mettono a punto un'analisi dell'"ontologismo
critico" sia rispetto al realismo scolastico sia rispetto
all'idealismo sia rispetto alle incongruenze che dal loro punto di
vista quell'"ontologismo" presenta. Cfr. par. 11 dell'Introduzione
di questa ricerca. [81]
P.
Carabellese, Critica del concreto cit., p. 80. [82]
Ibidem, pp. 82 sg. [83]
Ibidem, pp. 84 sg. [84]
P.
Carabellese, Il problema della filosofia da Kant a Fichte cit.,
Introduzione, p. 8. [85]
P.
Carabellese, Critica del concreto cit., p. 96 e, più in
generale per questa argomentazione, pp. 80-96. E' proprio l'essere
l'Oggetto l'universale di coscienza ciò che fonda l'intersoggettività:
il rapporto tra i soggetti è possibile, e il solipsismo e il
monadismo vengono allontanati, perché tutti i soggetti sono
accomunati dal medesimo Oggetto di coscienza, che costituisce il
loro universale. [86]
Di
fondazione metafisica dei soggetti nella pluralità del loro
dialogo intersoggettivo parla Edoardo Mirri nel già cit. Il
senso cristiano della persona e della società nel pensiero di P.
Carabellese, pp. 200 sgg., laddove questa pluralità
soggettiva non è esistenzialisticamente quella dei soggetti
finiti, ma quella che ha in sé il senso eterno della persona. [87]
P.
Carabellese, Critica del concreto cit., p. 132. [88]
P.
Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., p. 57. [89]
P.
Carabellese, Critica del concreto cit., p. 134 sg. [90]
P.
Carabellese, Io cit., pp. 164, 166, 169, 171. [91]
Nel
suo Il messaggio carabellesiano, in AA.VV., Giornate di
studi carabellesiani cit., n. 2, p. 224, Ernesto Pomilio
ricorda come per Bontadini permanga in Carabellese "l'ombra
dell'antitetismo" nel rapporto soggetti-oggetto. [92]
P.
Carabellese, Critica del Concreto cit., pp. 203 sg. [93]
Ibidem,
p. 181. [94]
Ibidem,
p. 185. [95]
Ibidem,
p. 197. [96]
Ibidem,
p. 201. [97]
Ibidem,
ancora p. 201 sg. [98]
Cfr.
O. Nobile Ventura, Filosofia e religione in un metafisico
laico: Pantaleo Carabellese cit., p. 89. [99]
Se per
Ornella Nobile Ventura il Dio carabellesiano è "immanente
e trascendente insieme", per Pietro Cristiano Drago, dalla
Nobile Ventura citato, "[...] la [...] trascendenza (di
Carabellese) è ancora immanenza [...] non mi riporta ad una
qualsiasi realtà fuori della coscienza, ma è ancora un modo
della coscienza.", laddove è proprio qui, nell'essere la
trascendenza di Dio interna alla Coscienza (intesa da noi
metafisicamente e non soggettivisticamente), che si intravvedono
a nostro parere le maggiori difficoltà del rapporto tra
Principio e Termini, col pericolo di un circolo vizioso tra
trascendenza e immanenza. Cfr. Ibidem, in partc. p. 74, e
P. C. Drago, La metafisica di P. Carabellese, in AA.VV., Filosofi
contemporanei, Pubblicazione a cura della Sezione di Torino
del Reale Istituto di Studi Filosofici, Bocca, Milano, 1943, p.
50. [100]
Per
Padre Ambrogio Manno il Dio carabellesiano è trascendente e
immanente insieme: cfr. A. Manno, L'Assoluto nell'ultimo pensiero
del Carabellese cit., in Giornate di studi carabellesiani cit.,
in partc. p. 443. [101]
P.
Carabellese, Tra arcaismo e ateismo cit., in "Giornale
critico della filosofia italiana" cit., p. 166. [102]
Corrado
Dollo, rinvenendo in ciò una carenza dell'ontologismo, afferma:
"Se l'Assoluto è Coscienza non può non essere
Soggetto." Cfr. C. Dollo, Momenti e problemi dello
spiritualismo (Varisco, Carabellese, Carlini, Le Senne) cit.,
p. 142. [103]
Così
si può concordare con O. Nobile Ventura (cfr. O. Nobile Ventura, Filosofia
e religione in un metafisisco laico: P. Carabellese cit.,
pp. 60-65) che il Dio carabellesiano è immanente e trascendente
insieme: è immanente come Oggetto puro della coscienza,
immanenza che rende possibile la sua conoscibilità di diritto che
apre la via alla filosofia come sforzo inconcluso di
esplicitazione dell'implicito, ed è trascendente come sempre
ulteriore al di là che si pone con la sua inesauribilità nella
sua inconoscibilità di fatto, che non si trasforma mai in possesso.
In questo essere la trascendenza lo scacco e l'eterno al di là
dell'esistenza che pure la trova dentro di sé come possesso
virtuale, Carabellese è vicino a Jaspers. |
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