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Recensione
a Pantaleo Carabellese, Il problema teologico come filosofia, I
ed. Tipografia del Senato, Roma, 1931, II ed. ESI, Napoli, 1994.
E' stata recentemente ristampata in edizione anestatica per i tipi
della ESI di Napofi, nella collana delle Pubblicazioni dell'Università
degli Studi di Perugia, una delle opere principali di Pantaleo
Carabellese - Edoardo Mirri, che ha voluto la sua ristampa, la definisce
il capolavoro di Carabellese -, quel Il problema teologico come
filosofia che aveva già visto la luce nel 1931 tra le Pubblicazioni
della Scuola di Filosofia della Reale Università di Roma, edita dalla
Tipografia del Senato G. Bardi di Roma. Come Mirri ricorda
nell'Introduzione, l'opera, sebbene recensita da esponenti di
rilievo della cultura italiana di allora come Spirito, Banfi, Mazzantini
e altri, passò sostanzialmente inosservata e quasi nessuna eco
suscitò nel panorama filosofico italiano, diviso tra
neo-idealismo e neo-scolastica, perché "inattuale" in senso
forte, nietzscheiano. Fin dal suo stesso titolo, infatti, Il problema teologico come
filosofia richiama uno dei nodi problematici centrali di tutto il
pensiero di Carabellese, quel rapporto originario, coessenziale, tra
filosofia e teologia che, per i modi e i contenuti in cui egli
articolava questo rapporto, rendeva la teologia cattolica dell'epoca
sospettosa nei confronti della filosofia di Carabellese, accusato in
particolare da Armando Carlini di ateismo per la sua rivoluzionaria tesi
dell'inesistanza di Dio, cui poi accenneremo. Già nel primo capitolo e' resa esplicita tutta la concezione che
Carabellese dà della filosofia: non scienza tra le scienze, ma
aristotelicamente filosofia prima, scienza unica e scienza per
eccellenza che pone a suo oggetto l'oggetto implicito, non tematizzato,
di tutte le scienze particolari, e pertanto l'oggetto fondamentale,
l'essere: dunque metafisica. Qui non può non inserirsi subito nel lettore più avveduto la
considerazione che Carabellese rischia il ritorno a una metafisica
dogmatica di tipo prekantiano, dal momento che In questo senso la filosofia, la cui "divina inutilità"
- Carabellese ribalta qui in senso positivo la feroce accusa mossagli di
Croce di "inconcludenza sublime" - rispetto alle finalità del
vivere quotidiano da cui traggono alimento le altre scienze e' sancita
dal suo "oggetto esterno", l'essere - famosa la distinzione
carabellesiana tra "problema interno" della filosofia, cioè
problema della sua stessa possibilità, e "problema esterno"
della filosofia, ossia
problema dell'essere come problema che la qualifica nella sua specificità
e imprescindibilità - la filosofia, dicevo, "o e' anche
metafisica, o non e'", come afferma perentoriamente Carabellese
proprio all'inizio dell'opera. Ma dire che la filosofia ha a suo problema l'essere significa farle
incontro la teologia come sapere dell'essere sommo e assoluto, Dio. Ecco
perché' Il problema teologico come filosofia: dal momento che
Carabellese in qualche punto del suo filosofare sembra identificare
l'essere con Dio (sebbene
non inteso secondo i canoni della tradizione teologica), oggetto della
filosofia e oggetto della teologia vengono da un lato a coincidere,
dall'altro a scontrarsi quanto ai modi in cui questo stesso oggetto
viene inteso. Infatti, e qui si inserisce la sopra ricordata polemica
sull'ateismo con Carlini, nonché uno dei motivi principali della presa
di distanza della cultura cattolica dalla sua filosofia, Dio è per
Carabellese inesistente.
Questa può essere considerata la tesi teoreticamente centrale
della profonda critica carabellesiana al Cristianesimo e a tutte le
religioni positive, una tesi che sottendeva il rifiuto di
antropomorfizzare Dio, renqendolo ente finito tra enti finiti. Dio
infatti per Carabellese non può essere il tu che si pone e si oppone
nel rapporto con il credente all'io - tema questo che anticipa problemi
che saranno poi affrontati dalla "nuova teologia" e che e' in
singolare consonanza con la filosofia della religione di Karl Jaspers -,
e non può essere nemmeno quell'"altro", l'assolutamente altro
lontano dai soggetti finiti, perché l'alterità è invece per
Carabellese caratteristica della finitezza in quanto omogeneità di
simili che si richiedono, appunto, l'un l'altro reciprocamente. E bisognerebbe aggiungere che un'altra causa probabile
dell'ostracismo cui la cultura cattolica a lui coeva, e in particolare
neo-scolastica, sottopose
Carabellese fu che, pur nella sua modernità, la sua concezione
di Dio, che qui non e' possibile approfondire, lo espone a più
d'un rischio di panteismo, proprio per i confini non sempre nettamente
tracciabili, come si è accennato, tra il suo concetto di essere e
quello di Dio. Altro motivo di quella che si può definire una solitudine di
Carabellese rispetto alle correnti filosofiche della sua epoca
è certamente quello della definizione carabellesiana de Dio come
Oggetto, per quanto puro: Mirri nell'Introduzione mette l'accento su
questa "inadeguatezza del linguaggio usato" da Carabellese
rispetto all'altezza della sua speculazione, linguaggio spesso ostico e
definitorio, raramente discorsivo, e che nel caso specifico di Dio come
Oggetto puro contrapposto ai soggetti che lo hanno quale loro oggetto di
coscienza immanente, incorre nel pericolo di far travisare in modo
riduttivamente gnoseologistico un rapporto peraltro molto più profondo
che Carabellese istituisce tra Dio e i soggetti. Dio non e', o meglio
non e' soltanto, l'oggetto esplicito, consaputo dai soggetti e dunque
fondante la loro comunita', che si pone in ciò come
comunità dei credenti, ma è più profondamente l'oggetto
immanente e implicito che fonda la comunità non dei soli credenti, ma
dei pensanti in generale, dunque degli uomini. Ma ancora di più, poiché Carabellese, opponendosi a quello che
lui definisce umanismo antrooocentrico, considera essere non la
coscienza appartenente all'uomo, ma l'uomo alla coscienza, questa
comunità' si estende anche oltre i confini della comunità umana che
racchiude i pensanti intesi come uomini, per abbracciare appunto tutto
l'essere. In questo senso, che potremmo dire francescano di intendere
l'essere, Dio e' Oggetto puro nel senso che e' la coscienza
omnipervasiva insita in ogni
determinazione dell'essere, e che sostiene l'essere nel senso che, ci si
scusi dl bisticcio, fa essere l'essere essere, ossia che lo rende
positivo e lo sorregge nella durata della sua positività. E in questo senso ancora, la domanda metafisica fondamentale -
Perché c'e' l'essere invece che il nulla - secondo Carabellese si
allontana dal significato riguardante l'origine dell'essere, che
peraltro ormai è uscito dall'ambito della metafisica per rivenire
quesito di stretta pertinenza scientifica, per incentrarsi sul
significato, questo sì ancora metafisico, di identità dell'essere con
se stesso pur nella continuità temporale, o anche di conservazione
dell'essere all'esistenza. Il tema dell'esistenza è un altro dei temi
fondamentali di Carabellese: è il tema della pcsitività dell'essere,
che riguarda quindi non più l'essere in sé, il soprasensibile, ma
l'essere nelle sue determinazioni, quindi l'essere in altro, come
Carabellese dice riprendendo una definizione spinoziana. E' in questo
senso che Dio non esiste, come Carabellese chiarisce nell'ultimo
capitolo dell'opera, che la conclude come anello finale del circolo
argomentativo racchiuso nel titolo stesso: e Dio non appartiene
l'esistenza percshé l'esistenza è propria dell'essere in altro,
dell'essere finito, che mentre si contrappone come esistente agli altri
esistenti, pure è omogeneo a loro in quanto esistente tra altri
esistenti.
Stefania Sàpora
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