STEFANIA SAPORA

                 COGITO ergo SUM.....ergo DIGITO

 

PAGINA 22 IN COSTRUZIONE

Stefania Sàpora – Dottore di Ricerca

 

 

 

Carabellese: ascendenze e incontri del suo pensiero (Gentile, Hegel, Cartesio, Rosmini, Varisco, Masci)

 

 

1. Il problematico e proficuo rapporto teoretico con Gentile[1]

 

I rapporti teoretici di Carabellese con Gentile, per quanto com’è noto Carabellese avesse con Gentile lungo l’arco della sua esistenza rapporti non solo teoretici, e collaborasse, con lui Direttore, con diverse voci all’Enciclopedia Italiana, sono significativi della progressiva presa di distanza di Carabellese rispetto al neoidealismo italiano, che individua in Gentile evidentemente il suo maggior rappresentante, per quanto abbiamo voluto individuare un nesso tra la speculazione carabellesiana e quella gentiliana riguardo all’Io la cui imprescindibilità nella comprensione della speculazione carabellesiana andrebbe semmai approfondita in un’ulteriore ricerca.

I rapporti Carabellese-Gentile hanno inizio rispetto all’interpretazione di Rosmini, da Carabellese poi riconosciuto come maestro, per cui si può parlare di una prima polemica tra i due che dura dal 1907 al 1912 riguardo specificatamente a Rosmini e risale alle rispettive Tesi di Laurea in Filosofia (quella di Carabellese, La teoria della percezione intellettiva in Antonio Rosmini, pubblicata con Prefazione  di Varisco nel 1907, quella di Gentile, Rosmini e Gioberti, pubblicata a Pisa nel 1899), polemica complessa che si incentra appunto sulla diversa interpretazione di Rosmini e di Kant che parte dalla gnoseologia per sconfinare nella metafisica. Una seconda polemica, che inizia negli scritti carabellesiani nel 1938 de L’idealismo italiano. Saggio storico-critico e si “conclude” con la sua morte nel 1948, è più generale e riguarda proprio la metafisica e la gnoseologia ad essa connessa, ha inizio col concetto di Soggetto ed è motivata quindi soprattutto dalla diversa concezione di Dio. Le tappe fondamentali delle due polemiche carabellesiane possono essere perciò individuate per la prima appunto nella pubblicazione della Tesi nel 1907 – e in particolare nell’articolo che ad essa fa seguito, Intuito e sintesi primitiva in Antonio Rosmini, del 1911 -, e per la seconda ne L’idealismo Italiano, del 1938, e nella terza edizione, appena postuma, della Critica del Concreto[2].  Le due polemiche, nonostante i rapporti teoretici e non di Carabellese con Gentile, nel complesso durano negli scritti carabellesiani per circa quindici anni andando però dagli anni Dieci agli anni Cinquanta del ‘900, con diversi luoghi di incontro e di scontro[3]. Negli anni che intercorrono tra le due polemiche, i luoghi di collaborazione teoretica tra i due pensatori sono molti, a partire dal continuo apporto di Carabellese al “Giornale critico della Filosofia Italiana” diretto da Gentile, a finire al ricordo carabellesiano di Gentile, che copre tutto l’arco della sua esistenza, fatto da Carabellese per la morte di Gentile il 15 aprile del 1944, all’Università di Roma, passando per l’articolo “L’Italia nella filosofia moderna”, poi ristampato nell’opera di Gentile La mia religione. Discussioni e critiche, del 1943, e per l’importantissimo articolo “Cattolicità dell’attualismo”, apparso in seconda istanza nel volume collettaneo ad opera della “Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici” Giovanni Gentile. La vita e il pensiero, del ‘48. Ma forse la collaborazione più visibile è rappresentata dalle varie voci che Carabellese scrive per la Grande Enciclopedia Italiana di cui Gentile era Direttore, che sono: “Appercezione”, “Astratto”, “Certezza”, “Concreto”, “Cosa in sé”, “Criticismo”, “Errore”, “Giovanni Amedeo Fichte”, “Emmanuele Kant”, “Bernardino Varisco”, “Berkeley”, “Federico Enrico Jacobi”, tutte prevalentemente degli anni Trenta. 

Entrando ora nel merito del rapporto teoretico, è necessario, proprio a partire dalle tesi critiche da noi portate avanti, sconfessare il giudizio  negativo espresso da  Gentile[4] di condanna  del neokantismo e contemporanea  esaltazione dell'idealismo  come unica prosecuzione del  criticismo kantiano, dal momento che com’è noto il neokantismo è altrettanto legittima prosecuzione del criticismo kantiano, ambedue – neoidealismo e neokantismo – convergenti verso l’idealismo assoluto. E’ da vedere inoltre quanto postkantismo e posthegelismo siano distanti oggi, e quanto viceversa sia in atto un discorso comune che ne superi inverandole le distanze e le contrapposizioni, come è stato fatto ad esempio in Italia nel campo dello storicismo, un tempo com’è noto a sua volta lacerato.

 

 

2. La prima polemica Carabellese-Gentile (1907-1912)

 

In primo luogo  analizzeremo la polemica Carabellese-Gentile su Rosmini a partire dall’interpretazione carabellesiana di Rosmini contenuta nell'articolo Intuito  e sintesi  primitiva, che è quella che sintetizza i risultati della Tesi di Laurea carabellesiana e quella in cui Carabellese analizza di Rosmini la teoria  della conoscenza in rapporto alla teoria dell'essere dell’abate. Egli mette già qui in relazione  gnoseologia e metafisica, ed enuncia i termini della sua polemica con Gentile: si tratta della questione  relativa alla diversa interpretazione che danno Gentile e Carabellese della teoria rosminiana della sintesi e dell'intuito dell’essere che  la fonda come condizioni trascendentali dell'esperienza  in senso kantiano, per il primo pensatore, oppure con valore innatistico e sostanziale, ossia metafisico e idealistico in senso pieno, per il nostro Autore.

Secondo Carabellese, Rosmini ritiene che si debba uscire dallo gnoseologismo ed entrare nella metafisica, ma soprattutto è colui il quale dà fondamento, dopo  la kantiana fondazione della scienza a priori, alla conoscenza a posteriori. Per Rosmini nella conoscenza l’idea originaria è l'idea dell'essere, l'unico apriori  che  egli conserva di Kant, e quest’idea è innata e dunque, si potrebbe dire, pregenetica. Il primo atto della conoscenza razionale è la percezione intellettiva, nella quale l’idea dell’essere gioca un ruolo fondamentale, poiché fonda appunto la possibilità stessa di tale percezione, ed è perciò forma. Già qui ci sembra necessario sottolineare l’importanza da Carabellese attribuita alla percezione intellettiva che Rosmini aveva messo in luce a partire da Kant, perché è essa percezione intellettiva, evidentemente distinta e di grado superiore rispetto alla percezione sensibile, che consente una lettura della filosofia trascendentale come filosofia dell’essere e non come filosofia del conoscere, in cui l’Essere si pone in primo piano nel momento in cui la percezione intellettiva, che apre all’idea dell’essere, apre appunto all’Essere, consentendo il passaggio dalla gnoseologia alla metafisica, passaggio sul quale infatti Carabellese torna in più luoghi, riproponendo così all’attenzione filosofica un tema di grande importanza per la stessa possibilità di accesso alla metafisica, all’essere e all’Essere.

L’idea dell’essere come forma viene da Carabellese come da Rosmini distinta in due modi: nel primo essa è forma dell'intuito, nel senso che "accende l'intelletto" in quanto prima e originaria manifestazione dell'essere – dunque è a priori -,  nel secondo è forma  anche delle percezioni sperimentali, che sono a posteriori, ed è mediante essa, in quanto forma del secondo tipo, che si ha la percezione di realtà. Nel complesso pertanto l’idea dell’essere è fondamentale ai fini della conoscenza sia a priori che a posteriori: è forma che consente l’accesso – e mette in comunicazione - al mondo dell’Essere nel suo livello di mondo delle idee, ma pure è forma della materia costituita dalle percezioni di fatto. 

A noi qui interessa seguendo Carabellese il primo modo della percezione intellettiva, ossia l’idea dell’essere in quanto forma a priori manifestante l’essere, poiché è con tale prima forma della percezione intellettiva che si ha il nesso, e il passaggio, tra gnoseologia e metafisica,  sul quale Carabellese sviluppa la polemica non solo riguardo alla teoria rosminiana della percezione intellettiva e in generale della conoscenza, connettendo quindi gnoseologia e metafisica, ma più tardi specificatamente riguardo al Soggetto, e quindi alla sola metafisica.

Ma analizziamolo, questo primo modo della percezione intellettiva: l’idea dell’essere, in quanto forma a priori che accende l’intelletto costituisce in Rosmini un presupposto della sintesi che apre l'individuo al mondo. In quanto la percezione intellettiva apre l’individuo al mondo, è detta percezione primitiva fondamentale, o sui generis, che accende l’intelletto dato che è la “prima percezione che noi facciamo venendo alla luce", nella quale non vi sono ancora confini distinguibili tra il nostro corpo e il resto del mondo, ma un unico sentimento fondamenta­le: essa è l’atto costitu­tivo  della ragione. Perciò la percezione sui generis è di importanza fondamentale per quello che poi Carabellese definirà il pensante che vive. Il suo costituire la ragione infatti pone già qui Carabellese sulla strada di quello che abbiamo definito in altra sede  neorazionalismo, ossia sottolinea l’importanza da lui attribuita, in una profonda e giusta interpretazione di Kant - che la conoscenza e l’assimilazione dell’hegelismo nei suoi aspetti imprescindibili non poteva che corroborare -, al concetto di ragione in rapporto all’Essere. In questo senso la riflessione sulla rosminiana percezione sui generis si pone come momento di passaggio sul percorso da noi tracciato, e costituisce, nel rapporto tra ragione e Essere, il momento in cui l’Essere si fa idea dell’essere e si mette in comunicazione col pensante che vive. Infatti alla  percezione  sui generis, che dà la sintesi primitiva sui generis, corrisponde l’idea sui generis, ossia l'idea dell'essere.

Nel confronto con Gentile, per Carabellese, che segue il Rosmini della Teosofia, la percezione primitiva fondamentale non è, come per Gentile, una condizione trascendentale, ma una potenza della ragione. La potenza,  afferma citando la Teosofia rosminiana, è  un atto primo e costante a cui non necessariamente segue, come atto secondo, l’operazione o esplicazione: la potenza  c’è anche se non c’è l’atto. Qui prima di tutto è da notare la matrice aristotelica dell’argomentazione, che rifacendosi alla distinzione tra potenza e atto si discosta dalla filosofia attualistica gentiliana, presupponendovi potremmo dire un’energheia  costitutiva del soggetto che è appunto una possibilità di attuazione, distinta dall’atto stesso. Ma non solo. Proprio il rifarsi al Rosmini della Teosofia fa pensare che Carabellese intendesse dare anche un altro significato al termine potenza riferito alla percezione primitiva fondamentale. Un significato allora esoterico. Così la potenza non è solo possibilità non necessariamente attuantesi, ma anche potenza proprio nel senso di potere, il potere dell’uomo di accedere all’essere e al mondo delle idee: non a caso un secondo articolo tratto dalla Tesi si intitolerà La potenza e l’intuito come potenza nell’ideologia rosminiana, liddove è da notare, come anche altrove ci è occorso di sottolineare, l’accento posto qui da Carabellese sull’intuito come strumento di accesso all’Essere.

Tornando alla percezione sui generis e alla percezione intellettiva in generale, mentre la potenza distinta dall’atto come sua esplicazione potremmo dire verso il futuro, si ha nelle tre  potenze dell’uomo (la  sensibilità come potenza del sentire, l'intelletto come potenza dell'intendere e  la ragione come  potenza  del conoscere), che sono atti primi a cui manca l'atto secon­do (l'operazione)  perché percezione ci sia,  cioè  per passare dalla potenza all'atto[5], nella potenza costituita dalla percezione sui generis, ossia la percezione primitiva fondamentale del nascituro, si ha un’anteriorità rispetto a quelle tre (sensibilità, intelletto, ragione), per cui essa è di  natura diversa dalle altre in quanto fonda la ragione, e dunque forma l’uomo in quanto ragione. In essa potenza ed atto sono un tutt’uno, e Carabellese la definisce perciò il  “talamo” in cui il reale  e l'essenza che s'intuisce nell’idea, ossia realtà e mondo delle idee, si fondono. Qui l’operazione è la sintesi sui generis, detta anch’essa primi­tiva in quanto prima funzione  della ragione. E’ solo successivamente a questa percezione primitiva fondamentale, o sui generis,  che si ha il processo che genera la conoscenza percettiva nel suo complesso, dunque a posteriori. Tale prima funzione ha perciò valore creativo e al tempo stesso rivelativo poiché fonda la possibilità stessa della conoscenza sperimentale come percezione distinta dei  corpi e dell'io.

In questo senso Carabellese ritiene che la percezione primitiva  fondamentale non è condizione  trascendentale  della sintesi  primitiva. Ciò significa che, al contrario che per Gentile, l’apriorità dell’idea dell’essere riguarda non soltanto la logica, ma anche  la temporalità, per cui Carabellese afferma che l’idea dell’essere è innata: egli vi attribuisce valore ontologico e non esclusivamente trascendentale come Gentile.

Il punto della  questione tra  Carabellese e Gentile è proprio qui, nella relazione tra la temporalità e i termini della polemica nel suo complesso (la categoricità kantiana o l’innatismo sostanziale dell’idea dell’essere). Per Carabellese l’innatismo dell’idea dell’essere consiste nella sua preesistenza all’atto percettivo: citando il Rosmini del Nuovo saggio sull'origine delle idee,  del 1830, per Carabellese l'idea dell'ente nel nostro spirito è preesistente all'atto  della percezione, sia per natura sia per  tempo. Infatti nella conoscenza si ha, nell’ordine, prima l'idea dell'ente, poi la sensazione e quindi il giudizio che le congiunge generando la percezione dell'esistenza dei corpi [6], e infine la sintesi  sperimentale che dà la conoscenza trasformandosi nel giudizio percettivo. Carabellese distingue l’ordine logico dall’ordine temporale: quanto all'ordine  logi­co, la ragione è una potenza posteriore alle due potenze del  senso e dell'intelletto; quanto all'ordine  cronologico, è un apriori, dal momento che quando è l'uomo,  è la ragione. Intuito dell'ente e percezione  primi­tiva fondamentale  infatti sono contemporanei,  poiché,  appena nasce[7],  l'uomo è ragione.

E’ necessario perciò distinguere la sintesi sui generis, che come forma apriori fonda la ragione ed è contemporanea all'intuito dell'ente, dalla sintesi posteriore che costituisce la percezione  dei corpi  e  dell'io  come dualismo soggetto-oggetto  (la cosiddetta percezione di  realtà), poiché  quest'ultima è appunto sia logicamente che  cronologicamente posteriore all'intuito, anche se la percezione intellettiva in quanto atto della conoscenza sperimentale e dunque a posteriori è un processo che si svolge nel tempo, così come la percezione primitiva fondamentale è interna al tempo. Secondo Carabellese per Gentile[8] invece la percezione primitiva  fondamentale del nascituro (che dà la sintesi sui generis  fondante la ragione)  e l’intuito dell'ente che  la fonda  sono soltanto presupposti logici,  e dunque condizioni  trascendentali, della conoscenza e pertanto sono fuori dal tempo e quindi anteriori solo logicamen­te e non anche cronologicamente,  poiché  fondano la percezione intellettiva di fatto che invece è nel tempo. Ciò perché per Gentile precedente solo logicamente  e non anche cronologicamente, e dunque  fuori del tempo, è l'idea dell'ente, ad essi atti  percettivi fondamentali immanente e anch'essa trascendentale in quanto loro presupposto. Invece per Carabellese, al contrario che per Gentile, l'ordine di esistenza e l'ordine in cui le potenze vengono avvertite dal  soggetto sono ambedue cronologici, ma inversi: nell'ordine  logico  la potenza  viene prima dell'atto, nell'ordine esperienziale avvertiamo prima l'atto e poi la potenza. Da questa inversione, che Gentile considera logica e non  cronologica tra l’avere la coscienza dell'atto e l'essere dell'atto  stesso, Gentile ricava la trascendentalità dell'essere dell'atto, ossia della potenza. Carabellese invece ritiene che  Gentile dovrebbe dimostrare  che nella  percezione intellettiva sorge immediatamente, senza  esistere già prima,  l'idea dell'essere con un valore formale. Da ciò conclude che non è nello spiri­to   del  rosminianesimo  la contemporaneità, e dunque la formalità, dell'idea dell'essere con la sintesi primitiva: l'intuito dell'ente  precede la conoscenza e  non ha il  valore formale delle categorie kantiane, il che appunto significa che per Carabellese, nel rapporto tra  gnoseologia  e metafisica,  l’idea dell'essere ha valore innatistico e sostanziale. E’, questa, un’importante conclusione di Carabellese, proprio perché mette l’accento sul valore dell’intuito.

Questi i termi­ni della complessa polemica Carabellese-Gentile riguardante il rapporto tra gnoseologia e metafisica nel pensiero rosminiano in relazione a Platone, Aristotele e Kant, la quale polemica continua poi ulteriormente non solo nei due articoli citati, ma anche  nel  successivo  articolo carabellesiano La potenza  e  l'intuito  come  potenza nell'ideologia  rosminiana[9], del 1912, in risposta  all'articolo gentiliano  su  "la Critica" del maggio 1911.  Il  focus è evidentemente nel  valore  formale  o sostanziale dell'idea dell'essere di derivazione rosminiana, che Gentile vede come condizione trascendentale  in senso kantiano,  ossia  con valore relativo  alla conoscenza,  mentre  Carabellese, sulla linea rosminiana,  le attribuisce  valore ontologico, connettendo già qui gnoseologia e ontologia in vista della metafisica. Inoltre occorre sottolineare che il problema sotteso a questa prima polemica è quello del fondamento[10], e della conoscenza del fondamento[11], che condurrà poi al secondo motivo di dissenso di Carabellese anche nei confronti di Varisco, suo antico maestro: la concezione del Soggetto Universale. 

Concludendo perciò su questa prima polemica che si protrae in diversi luoghi per cinque anni (dal 1907 al 1912), è l'interpretazione carabellesiana di Kant mediata dalla concezione rosminiana dell'essere e dalla prospettiva masciana di Kant come colui il  quale fonda, come scrive Semerari[12] e come diremo, la “formazione coeva del dato e della forma” della conoscenza, che distanzia Carabellese da Gentile. L’intento rosminiano è quello di uscire dallo gnoseologismo ed entrare nella metafisica, laddove la formazione coeva del dato e della forma della conoscenza messa in luce da Masci veniva interpretata da Carabellese sul piano ontologico dell’essere concreto, per cui Masci rappresenta secondo Semerari il primo e più remoto stimolo del concretismo carabellesiano.

 

 

3. La seconda polemica (1938-1948)

 

La seconda polemica inizia, come si è detto, con la pubblicazione nel 1938 de L’idealismo italiano, prosegue nella seconda edizione della Critica del Concreto del 1940 e si conclude col rifacimento del capitolo sul Soggetto Universale nella sua terza edizione del 1948, passando per l’importante articolo Cattolicità dell’attualismo, sul quale ci soffermeremo per la sua chiarezza e complessità.

In questa seconda polemica, evidentemente Carabellese, ormai completamente in pieno periodo metafisico, affronta Gentile (e il suo “dissidio” con Varisco) nel fulcro della concezione metafisica del neoidealismo. Ciò che Carabellese fortemente contrasta in esso è l’identificazione tra l'Idea e il Soggetto Universale. Egli parla infatti  dei due Distinti della Coscienza, l'Io e  Dio, laddove  se  l'Io  può essere considerato  il Soggetto Universale (uno dei livelli di Dio), Dio in quanto Idea  non è Soggetto.

La polemica carabellesiana sarà su questo punto  molto violenta: l’identificazione di Gentile come di Varisco dell'Io  con Dio come Soggetto Universale unico, teorizzato da questi ultimi come la somma realtà, è considerato non “la profonda   radice   della realtà,   ma un'astrazione vuota”[13]. Considerare Soggetto il puro Universale – non l’Universale concreto, cioè l’Io - significa non soltanto negarlo come tale in quanto lo si riduce a  un singolare,  ma anche coinvolgere in questa negazione un determinato livello di Dio, ossia quello della Coscienza, che è per Carabellese, che ne ha reso metafisico il significato kantiano[14], necessario rapporto Soggetto-Oggetto, ossia Io-Dio. Da ciò si evince il rifiuto carabellesiano  per l'identificazione dell'Io penso kantiano, che in Gentile è divenuto  il Soggetto  Universale, con Dio: immanente alla Coscienza, e distinto dall’Io come Soggetto – seppure in circolare rapporto con lui -, vi è  Dio visto come l’altro Distinto dell’Essere (l’Io, l’Altro, potremmo dire radicalizzando Carabellese, in necessario rapporto ma anche in assoluta distinzione: Io-Dio in rapporto circolare diretto orizzontale, Principio Termine in circolare diretto verticale, ecco lo schema a croce, che rimane, con tutte le sue triadicità, in tutto il pensiero metafisico di Carabellese[15], e che noi dovremo superare col neorazionalismo, ossia con una concezione realistica dell’essere che considera la Ragione, posthegelianamente, come la somma Realtà, e in cui i diversi “nomi” di Dio in particolare, e delle tre idee kantiane in generale, sono diversi livelli, gerarchicamente disposti secondo la regola dell’Aufhebung, di accesso appunto del Soggetto al Mondo dell’essere. Ma qui ci fermiamo.

Secondo l’ultimo Carabellese - quello del Disegno del 1953, appunto postumo - il concetto di Dio come Soggetto inizia col giudaismo, cui infatti egli fa precedere ebraismo e prima ancora brahmanesimo, come si è detto in altro luogo, titolati complessivamente La Soggettività, indistinta nel brahmanesimo, distinta nel giudaismo. Ma già qui la critica carabellesiana al gentiliano Soggetto Universale unico si incentra sul concetto che ammettere  il  Soggetto universale unico significa confondere il soggetto puro – o Io -, che è per Carabellese un Distinto della Coscienza, con  la Coscienza stessa – o rapporto circolare orizzontale Dio Io. Perciò in una  nota de L'idealismo italiano Carabellese precisa, facendo interagire  livello gnoseologico e livello ontologico, la differenza fondamentale tra  l'idealismo di Gentile  e il suo idealismo concreto o ontologismo critico: per l'idealismo  attuale  l'idea coincide con lo stesso atto del conoscerla, per il concretismo essa è imma­nente all’atto e da questo distinta.[16]  L’idea è a priori rispetto all’atto, e in quanto Idea dell’Essere uno dei tre punti del rapporto circolare Dio Io. Questo significa che prima dell’Idea-Principio-Sostanza, che non è Dio al suo massimo livello, vi è il vero Dio, l’Essere. Pertanto, se è possibile parlare in Carabellese, ad un certo livello dell’Essere, di Dio come Coscienza qualitativa con una natura soggettivo-oggettiva che lo rende circolo Dio Io interpretabile come Persona - ma questo è uno dei livelli di Dio, non il Dio carabellesiano definitivo, bensì l’ultimo sistemato in ordine di tempo, è il livello della manifestazione, o kantianamente dell’oggettivazione – non è possibile parlare in Carabellese di Dio come Soggetto Universale unico, ma soltanto dell’Io, se ci si intende sul riferimento da darvi: e questo Io universale Carabellese lo individua in Cristo, la cui unicità è quella del Dio incarnato unico per tutti i pensanti che vivono – ecco il giudaismo da Carabellese attribuito al Soggetto gentiliano -, mentre l’universalità fa riferimento all’Io penso kantiano anche al di là del nostro mondo, e dunque al di là dell’incarnazione umana di Cristo.

Per quanto attiene perciò all'identificazione gentiliana tra ontologia e  gnoseologia,  è possibile considerarla un punto di convergenza tra Carabellese e Gentile, poiché non soltanto  la Coscienza o Concreto in  Carabellese è Essere-Sapere, per cui questa identificazione e coincidenza  può esservi al livello della Coscienza se con essa si intende il conoscere dell'Io  penso (che è uno dei due Distinti della Coscienza stessa), ma anche la coincidenza tra gnoseologia e ontologia attraversa, a un certo livello dell’Essere,  anche l’ultimo Carabellese, quello che affronta il sistema metafisico dell’Essere. Infatti tutta la prima dispensa ora pubblicata Dialettica delle forme, che parla di Dio, è un continuo traslitterare di piano tra gnoseologia e ontologia nel mentre parla di metafisica, poiche Dio è lì leggibile secondo i vari nomi, le varie forme di oggettivazione che Carabellese attribuisce a Dio, rimanendo in sé a questo livello dell’Essere, ossia nella Coscienza qualitativa, Qualità pura in rapporto circolare con l’Io (si veda sempre nella tridimensionalità  lo schema grafico che chiude l’opera).

Viceversa l’identificazione gentiliana tra  assoluto idealismo  e gnoseologia, che Carabellese trova come motivo di polemica, può essere da Carabellese, anche se non esplicitamente, condivisa, dal momento che, per guardare ciò che noi abbiamo voluto definire del suo pensiero metafisico il sistema triangolare Essere: Dio Io, è necessario un quarto punto di vista: l’io che lo pensa[17]. Così, in quello che è lo schema a croce per eccellenza da noi individuato nel pensiero metafisico carabellesiano,  se l’Essere in sé è lo zenith o apice del sistema - che ha al suo primo livello di realizzazione l’hegeliana Idea come Dio prima della creazione -, l’io pensante è il nadir. In altre parole, proprio perché noi consideriamo la posizione di Carabellese realista (non in senso scolastico ma assoluto, ossia come identificazione tra essere e apparire, realtà e fenomeno, nonché tra essere e conoscere nella distanza tra i suoi vari livelli di metodo e di contenuto), poiché in Carabellese lo spirito non si  iden­tifica con l'Essere e  il Concreto carabellesiano ha due condizioni che, seppure  intrinseche  e inseparabili,  sono  distinte (i soggetti  e  l'Oggetto, l’Io e Dio), l’identificazione assoluta tra ontologia e gnoseologia (come identificazione che riguarda tutti i livelli a partire dall’Essere) è possibile se si legge il sistema metafisico dell’Essere Essere: Dio Io dal punto di vista dell’io, ossia aggiungendo un quarto punto ai tre  individuati. In questo io si uniscono i due punti dell’Essere come Idea (anche Sostanza e Principio) e dell’intuito che guida Carabellese alla scoperta dell’Idea. Ci sarebbe qui da fare, a partire dal rapporto diretto Dio io che guida tutto il pensiero di Carabellese, una digressione sul sapere l’Assoluto che rimandiamo.

Gentile al contrario, secondo Carabellese, misconosce il vero rapporto tra ontologia e gnoseologia perché connette quest’ultima a un assoluto  idea­lismo inteso come  identi­ficazione  tra l'Io e l'Idea, che sono invece distinti nell'Essere. Carabellese, pur avendo  sempre combattuto  contro  lo  gnoseologismo  come  separazione dell'essere  dal  conoscere, da  un lato non considera l’identificazione tra ontologia e gnoseologia, intesa come identificazione gentiliana tra Io e Idea, appartenente né al livello dell'Essere  né a quello dell'Idea, dall'altro non la limita al livel­lo  della concreta coscienza,  bensì le fa investire anche il livello dell'immanenza dell'Oggetto nei soggetti,  dove l'ontologia ricomprende  la  gnoseologia intesa come coscienza dei soggetti nella loro singolari­tà. Vi è qui la rivendicazione dell’esigenza imprescindibile della molteplicità e diversità dei soggetti, che secondo Carabellese Gentile mortifica. Il problema dello spirito è per Carabellese problema metafisico[18], non problema umano, dunque né  problema  di origine né problema di storia: è problema  di fondamento, tipicamente filosofico.

Carabellese inoltre condivide  con Gentile ne La pedagogia  dell'attualismo[19] la considerazione dello spirito come  sviluppo  eterno, per cui la realtà è spirito, ma ne dà una diversa interpretazione. In generale infatti la sua posizione critica  rispetto al neohegelismo italiano riguarda, nella considerazione dello spirito  come  il processo reale, la riduzione di ogni realtà  a spirito, inteso per il neohegelismo implicitamente come spiritualità  umana, che lo riduce a psicologia. Nel concepire il neoidealismo lo spirito come il potere umano di rappresentarsi la realtà, questa è sì rappresentabile ma non riducibile  né  alla rappresentazione,  né  al suo potere formatore, che è diverso dallo spirito[20]. Nella critica  al neohegelismo come psicologismo e filosofia della rappre­sentazione Carabellese disgiunge perciò lo Spirito come processo reale dal puro potere rappresentativo, dal momento che in questo le singole rappresentazioni possiedono sempre  un "chi"  e  un "che cosa" della rappresentazione stessa.[21] Egli vuole affermare, oltre il puro atto (il puro divenire), anche l’essere dell’atto, e perciò  arriverà a distinguere la realtà infinita come Essere dallo Spiri­to eterno, e questo dalla Coscienza o Concreto o  Essere-Sapere che  si manifesta e diviene come processo dialettico: lo Spirito è distinto dalla  rappresentazione. E’ solo al livello dello Spirito che c'è processo,  in senso lato divenire – dal momento che il divenire è per Carabellese apparenza, fenomenicità, temporaneità, anche se egli in molti luoghi della sua opera afferma che essere e apparire sono unum et idem, e dunque la sua posizione è realistica -, ma al livello sommo dell'Essere il divenire scompare, nel senso che l’Essere è, in quanto origine o punto zero del divenire,  Principio stesso del divenire. Carabellese  vuole  conciliare l'essere  con  il  divenire, Parmenide con Hegel, mantenendoli però distinti: l'Esse­re diviene al livello del Concreto o Coscienza, di cui lo Spirito è, al livello dell’Essere di Coscienza puro,  uno dei distinti (l’altro essendo Dio), e nel Concreto o Coscienza in quanto  attivo, universale  e unico  processo  reale, non può essere surrettiziamente identificato con l’uomo – Carabellese infatti, innalzando a livello metafisico l’Io penso kantiano, identificherà lo Spirito con Gesù. Pertanto l’identificazione gentiliana dello Spirito con l’uomo è negata da Carabellese perché in tal modo la  Coscienza  come  concretezza dell'Essere  scompare per far posto o all'uomo vivo  ab aeterno o alla materia antecedente allo spirito, il quale non è né il singolo soggetto pensante né l’umanità intesa come unico soggetto pensante: Carabellese vuol dire che esiste il soggetto pensante unico, ma questo non è né il singolo uomo, né l’Uomo in generale: è, sulla Terra, Cristo, nel cosmo, l’Io.[22] Infatti per Carabellese l’Io penso kantiano, o Spirito, o Cristo, consiste nella sostanza dello spirito intelligente attivo, lo spirito pensante che sa Dio.  

Ma la critica più profonda al neohegelismo italiano egli, pur concordando con Gentile riguardo allo statuto  etico della conoscenza come attività spirituale che supera la distinzione tra intelletto e volontà, la esprime analizzando  l'atto puro gentiliano. In questo il  soggetto è “l'attivo  pensiero  pensante” e l'oggetto è  “il  passivo pensato”: poiché per Gentile non  può  esservi passività nello  spirito come atto puro,  l’oggetto come pensiero pensato diviene l'attivo  pensiero  pensante  (soggetto  unico)   negato (oggetto  molteplice).[23] La presa di distanza carabellesiana consiste originalmente nell’affermazione che  il molteplice è proprio del soggetto, e l'unico dell'Ogget­to,  e che è inammissibile qualunque negazione  all'interno  dell'Io: l'Oggetto, più che  il negato  gentiliano, è proprio ciò che fonda il  soggetto stesso, per cui negare l'Oggetto significherebbe negare  il fondamento: un assurdo.  Ciò significa che  il Concreto  carabellesiano  non  è  il  Soggetto  assoluto gentiliano come atto puro, perché non è soggetto, ma sintesi di soggetto e di oggetto, è Soggetto-Oggetto.

L'attualismo  è allora per Carabellese il soggettivismo assoluto che  Spaventa considera  l'essenza e il valore  di  tutta  la filosofia  moderna e da cui Schelling ed Hegel, rinvenendolo in Fichte, volevano liberare la filosofia in nome della scienza: Io (trascendentale) sono  l'Unico ed  il  reale. L'attualismo perciò,  in  quanto dialettica antitetica del soggetto puro,  non si inserisce per Carabellese nella tradizione dell'idealismo italiano[24] perché, negando l'oggetto e sussumendo tutta la realtà  sotto  il Soggetto, ne sconfessa l'oggettivismo che dal Rinascimento in poi fa  consistere  il vero  idealismo nell'immanenza del vero nel  certo, ossia dell’essere nel conoscere. Ma nonostante ciò, il suo valore consiste nel “potente anelito all'unità” e nella “dimostrazione  dell'inelimina­bile spiritualità del reale”.[25] Al di là di tale valore, a Carabellese preme  veder  riconosciuto  che su  un  livello  più  alto dell'Essere  si pone non il processo, ma la  realtà.  In una nota dell'Idealismo Italiano, nel ribadire che la differenza fondamentale dell'idealismo attuale rispetto all'idealismo concreto  consiste nella coincidenza attualistica tra  l'idea e l’atto del  conoscerla, si fa l’affermazione che l’idealismo assoluto è solo  quello concreto, che dà all'Idea, in quanto immanente fondamento dell’atto del conoscerla, l'assolutezza.[26]

Carabellese  vuol ribadire un assoluto idealismo  che  è anche   gnoseologico, sebbene contro la  filosofia  del conoscere  si  mostri sempre molto  critico.  In questo senso si distacca da certo neokantismo perché critica di Kant l'implicita riaffermazione della filosofia del  conosce­re,  della  filosofia  della riflessione,  e  in  questo distacco  si  inserisce,  come bene  mette  in  evidenza Semerari[27] , nel movimento novecentesco di  rifondazione dell'ontologia, che segna il passaggio al  pensiero  post-moderno con la crisi epocale della moderna filosofia del conoscere  la quale considera l'essere solo  come  terminale conoscitivo, nell'oggetto, dell'attività del soggetto, e così  non  può disconoscere il residuo  ontologico,  che permane  nella sua inconoscibilità.  Carabellese  dunque come lato italiano della rifondazione europea dell'onto­logia, solo apparentemente esauri­to  nelle  polemiche  col  neotomismo,  l'idealismo,  lo storicismo[28]. Carabellese che oppone alla filosofia  del conoscere  l'ontologia, ma un'ontologia affatto  lontana da  quella  tradizionale, ossia da  non  confondere  con quella  aristotelico-scolastica che  considera  l'essere l'ultimo  grado  del processo di  astrazione logico  nella  sua massima indeterminatezza.  Un  Carabellese   che  secondo  noi anche  in questo porre l'ontologia versus  la  filosofia del conoscere, la speculazione versus la riflessione, si rende  sintomaticamente  vicino,  benché esplicitamente lontano,  allo  spirito  se non alle posizioni dell'idealismo hegeliano.

 

 

4.  Ontologismo  critico e  metafisica  idealistica:  la polemica con l'idealismo hegeliano e la  riaffermazione del "vero" idealismo

 

Si  può comprendere meglio la  posizione  polemica  che Carabellese  assume nei confronti del neoidealismo  italiano  a lui coevo - e che reciprocamente il neoidealismo italia­no  assume  verso di lui, quando manifestamente  non  lo ignora  -, e nei confronti dell'idealismo  tedesco,   in particolare di Hegel, se si considera che questa posizione polemica è frutto in primo luogo di una sostanziale incomprensione da attribuire al clima culturale comune a chi all'epoca si opponeva  all’idealismo oggettivo di Hegel e all'hegelismo in Italia. Si vuole dire che  solo in  età più vicina a noi la messe di studi  su Hegel ha  chiarito  come  i rischi insiti  nel pensiero hegeliano, che hanno più provocato  alla sua introduzione in Italia prese di posizione  polemiche e refrattarie,  fossero in realtà frutto di una serie di interpretazioni  scorrette sul piano  storico-filologico  ri­spetto  alle  opere hegeliane edite  e  inedite, e a  volte  di  plateali incomprensioni se non addirittura di veri e propri falsi.

Ma  vediamo di analizzare il rifiuto  carabellesiano  di Hegel  e del neoidealismo  italiano dei primi decenni del  Novecen­to nei suoi contenuti più specifici e nelle sue ragioni profon­de, al di là del clima culturale. L’accusa di soggettivismo mossa da Carabellese al neoidealismo italiano, di cui rinviene le radici nell’idealismo hegeliano, a partire  dall'espli­cita  e più completa presa di posizione del  Carabellese maturo  operata nel  ponderoso   L'idealismo italiano. Saggio storico-critico, del 1938 - poi ristampato nel 1946, a ribadire una posizione  ormai consolidata di cui le Appendici, aggiunte nella  seconda edizione,  costituiscono  la  riconferma – ha l’obiettivo di scindere il concetto di Soggetto da quello di Dio, rendendosi in ciò Carabellese anche intenzionalmente lontano dal concetto di Dio come Persona, nonostante in tal senso sia interpretabile la Coscienza qualitativa.   Infatti c’è da dire che nella Dialettica delle forme a Dio sono attribuiti caratteri di Persona, come il circolo Volere, Intendere, Sentire, facoltà metafisiche attribuite a Dio. Evidentemente per Carabellese il vero Dio è l’Essere, che non è Persona ma Idea-Sostanza-Principio.

Parallela a questa presa di distanza del vero Dio sia dal concetto di Persona sia dal concetto di Soggetto, vi è la presa di distanza dalla dialettica hegeliana intesa come dialettica formale, e negativa per la presenza della contraddizione: una  sostanziale   incomprensione dell'idealismo hegeliano che noi oggi sappiamo errata, in  cui anche e soprattutto la contraddizione rimane sostanzial­mente misconosciuta, in un oblio assoluto  della sua funzione nel celeberrimo Aufhebung hegeliano. Carabellese vuol dire che la dialettica hegeliana, proprio per il suo contraddirsi, non è vera, non è reale: nella realtà non c’è contraddizione, ma penetrazione dei diversi, dei distinti, che con il loro penetrarsi reciproco generano forme nuove, e queste forme sono reali, non semplicemente “formali”, sono sostanziali. Ma questa è proprio la dialettica hegeliana che si eleva nell’Aufhebung.  A meno che Carabellese non volesse riferirsi, con questa contestazione della contraddizione della triade dialettica – e di triadi il pensiero del Carabellese sistematico è pieno -, alla propria convinzione di una assoluta mancanza di “crescita dello Spirito sopra se stesso”, nella sottolineatura che lo Spirito nella sua penetratività è sempre uguale a se stesso ab e in aeternum, ossia nel suo tempo. Ma a questo punto non si capirebbe di Carabellese la manifestazione dell’Essere come Essere nel tempo, attività, né il concetto di storia, ad esempio di storia della filosofia, come progresso, che, sebbene ritornante sui medesimi problemi di sempre come cosa in sé, potremmo dire, ne sposta nel tempo in avanti il limite nel passaggio dal sapere alla conoscenza, o anche dalla coscienza alla ragione.

Carabellese nell'Idealismo italiano, che segna il punto di  maggiore attrito rispetto all'idealismo hegeliano  e di più ponderata riflessione sia dell'idealismo italiano sia  della propria posizione filosofica rispetto a  que­sto, rivendica per sé, nei confronti di Hegel e dell'hegelismo, il "vero idealismo", l'ideali­smo  oggettivo o oggettivismo immanentistico. Questo  trova nel  Rinascimento italiano di Bruno, Galilei, Vico  il suo antecedente più prossimo, e in  Platone  e poi nel neoplatonismo di Plotino i suoi antecedenti  più lontani:  il  "vero idealismo" è  dunque,  nel  pensiero moderno, tutto italiano. Infatti se la riscoperta dell’immanentismo  - come immanenza dell'Idea nella co­scienza, o anche "immanentismo della rivela­zione divina", come Carabellese afferma in termini non strettamente filosofici - è attribuita a Bruno, così è considerata scoperta di Vico la visione della storia come manife­stazione in figure dello spirito.[29]

Al di là della rivendicazione dell'importanza del pensiero italiano nell'ambito  di una  filosofia  che  Carabellese  evidentemente  sentiva dominata dal pensiero tedesco, quest'affermazione  del  "vero  idealismo" oggettivo versus  il   "falso" idealismo soggettivo come deviazione dalla  vera filosofia[30] pur nella comune concezione dell'idealità  dell'Essere si incentra sull’assunzione  della tesi dell'immanenza dell'Essere oggettivo. Ciò  non  per  negare il soggetto, ma  per  metterne  in risalto  il valore, seppure imprescindibile nel  sistema dell'Essere,  non  prioritario: il  prius  nel  pensiero carabellesiano  non è del soggetto, ma dell'Idea che si oggettiva.  Carabellese consapevolmente si vuole opporre,  ribaltandola, a  tutta la tradizione filosofica che da  dopo  Cartesio  ha  fatto perno sulla coscienza come coscienza del  sog­getto,  e  che ha fatto da questa  coscienza  soggettiva derivare l'unico sguardo possibile sulla realtà: qui  si spiega  in primo luogo l'accusa di umanismo  antropocen­trico da lui estesa a larghi strati del pensiero filosofico moderno.  Ribaltare quest'ottica significa non  negare  il soggetto, ma negarne la priorità per porsi dal punto  di vista dell'Essere: nell'immanenza dell'Essere  oggettivo ai  soggetti  l'attenzione è concentrata,  più che  sui soggetti nei quali l'Essere immane, su quest'Essere.  La sua immanenza nei soggetti sta senz'altro a  significare anche  la  loro appartenenza, si potrebbe dire  la  loro partecipazione,  all'Essere: la loro  imprescindibilità, il loro statuto ontologico, la loro elevazione al livel­lo  dell'Essere, che infatti Carabellese porta avanti e fa sua in modo originale. Ma nonostante la  tesi  dell'immanenza, riguardata  dal  punto  di vista  dei  soggetti,  voglia significare  una precisa seppur implicita visione  cara­bellesiana dell'essere del soggetto, non è questo che  a nostro parere determina dal punto di vista filosofico la sua  posizione. L'immanenza deve essere cioè  riguardata dal lato dell'Essere, e sta lì a sottolineare la priori­tà  dell'Essere  rispetto ai soggetti: è  l'Essere  che immane. Qui il distacco dall’umanismo antropocentrico, che si sposa con lo spostamento dell’attenzione dall’uomo al pensante.  

Ma  sarebbe erroneo radicalizzare  il  discorso carabellesiano e dire che se sul piano ontico agisce  il soggetto, sul piano ontologico "agisce" l'Essere. Infat­ti  priorità dell'Essere non significa annullamento  del soggetto, dal momento che anzi appunto  Carabellese innalza il soggetto al piano metafisico, e ne fa uno strumento indispensabile dell’Essere, strumento che si attua nella realtà dell’attività spirituale umana.  Semmai la partecipazione del soggetto all'Essere pur nella primarietà dell'Essere stesso può condurre, proprio nella pluralizzazione  cui Carabellese  sottopone  il soggetto,  ad  una  pluralità ontologica. Ma dipende dal livello a cui ci poniamo. Allora  idealismo oggettivo significa, al di là della  natura spirituale dell’Essere, che la soggettività  in qualunque sua forma ne partecipa ma non ne è  il centro  motore  perché, come dice  Carabellese  in  modo illuminante, essa è singolarità sempre relativa e multipla (anche se non finita in senso vitale) ma non unici­tà: questo idealismo è oggettivo e non soggettivo perché l'Idea si fa Oggetto puro, oltre che Soggetto. E'  qui  che avviene implicitamente  l'innalzamento  del soggetto, dei soggetti per Carabellese, al piano metafisico: nell'essere l'Idea Oggetto puro, e dunque immanen­te,  è sottinteso  il Soggetto in cui  l'Oggetto  immane. Questo innalzamento dei soggetti al piano metafisico, che nell’Idealismo italiano è ancora implicito in quanto il sistema dell’Essere: Dio Io non è ancora steso, diviene esplicito quando Carabellese parla del rapporto tra Principio e Termini: qui  l'in­nalzamento  dei soggetti al piano metafisico può  dirsi per un verso compiuto, in quanto Carabellese sta parlando del soggetto in generale, dall’altro incompiuto perché ancora non  è chiaro che tale innalzamento riguarda anche l’Io trascendentale.

Sul piano gnoseologico la posizione metafisica  dell'idealismo oggettivo dell’im­manenza  dell'Oggetto  puro si  traduce  nella  vigorosa affermazione  dell'immanenza del vero nel  certo,  della verità universale e infinita nella certezza soggettiva e finita[31]:  il rapporto gnoseologico tra verità e certezza non  si pone più sul piano ontologico della divisione  sogget­to-oggetto e della separazione tra essere e conoscere al livello del sapere, che lo rendeva problematico lasciando aperta la strada allo scetticismo, ma supera tale divisione nel concetto di concreto come sintesi soggettivo-oggettiva. Il concreto è infatti sia gnoseologicamente sia ontologicamente sintesi di soggetto e oggetto, nella quale vi è rapporto intrinseco – di immanenza - tra essere e conoscere, e in cui i due termini di soggetto e oggetto, seppure distinti, possono essere scissi soltanto a posteriori. Perciò nel concreto certezza e verità, lungi dall'essere separate – ma restano distinte in infinitum -,  possono, anzi devono, coincidere, per cui l'anelito alla verità del soggetto  non è destinato a rimanere insoddi­sfatto, ma riceve un contenuto positivo: qui si apre la possibilità della metafisica come scienza, nonché quella dell’oggettività della conoscenza, della scienza in generale.  L’ontologia di Carabellese trova il proprio punto di partenza nel concetto di Concreto, da intendere sia gnoseologicamente come concreto, sia ontologicamente come Concreto. Da qui in poi, o meglio da qui a risalire nella scala dell’Essere, siamo nella metafisica: nell’Essere.

Sul piano metafisico dell’Essere di Coscienza puro, uno dei livelli dell’Essere dell’ultimo Carabellese, la posizione carabellesiana dell’oggettivismo immanentistico significa che a quel determinato livello dell’Essere Coscienza ed Essere sono distinti: l’Essere di Coscienza puro è la prima emanazione dell’Essere, o anche la sua creazione e rivelazione.

Invece la lettura metafisica del Concreto che già è presente nella Critica del Concreto   permette di dire che a questo livello Carabellese è ancora interno a una visione ontologica dell’Essere, poiché in essa Critica Essere e Coscienza coincidono,  e  che dunque l'Essere non è altro dalla Coscienza, ma è la Co­scienza[32]. Questa concezione  Carabellese  esprime  in termini metafisici nel dire che "L'Essere sa, il  Sapere è", per cui la Coscienza è Essere-Sapere.

La  posizione realistica del dualismo soggetto-oggetto e della divisione  tra essere e coscienza, sia in  ambito  gnoseologico che  in ambito metafisico, è per Carabellese da superare, poiché rischia di aprire la strada al materialismo, considerando l’essere non spirituale, ma fisico. Ma Carabellese supera veramente tale distinzione-scissione-separazione? O ancora non la ripropone persino nell’ultimo periodo metafisico quando conserva implicitamente alla coppia  Dio Io la denominazione di Oggetto-Soggetto, nel mentre attribuisce nei fatti, come afferma Furia Valori, una natura soggettivo-oggettiva a Dio, almeno a questo livello?  Resta inoltre da comprendere perché Carabellese conservi, nel  periodo critico, la distinzione tra Essere  e  Sapere pur nella recisa affermazione che tale distinzione non è separazione né scissione: essa può dare adito  a  un equivoco   sullo statuto  ontologico dell'Essere cui si può far fronte solo inserendo tale distinzione in una  gradualità dell'Essere  su  cui però Carabellese non  si  pronuncia lungo  tutto l'arco  critico della sua  rifles­sione, e che necessitava di una meditazione nell’arco metafisico di questa stessa riflessione.  In  quest’ipotesi di una   gradualità dell'Essere in cui l'Essere-Sapere  si inserisce, esso costituirebbe il livello sia metafisico che gnoseologico che rende possibile, fondandola, l’oggettivazione. Questa Coscienza o Concreto si pone al tempo stesso come  Coscienza universale  e come coscienza particolare:  la  coscienza particolare  non è altra dalla Coscienza universale,  ma, in quanto "immanenza  di Dio nell'uomo,  dell'Universale  nel singolare,  della  verità eterna  nella  certezza  della soggettività spirituale", sua  manifestazione, suo inveramento, sua oggettivazione.

L'affermazione più volte ripetuta[33] da Carabellese  come scoperta  del  Rinascimento italiano dell'immanenza dell'Oggetto vero nei  soggetti certi,  che segna la riscoperta  moderna  dell'idealismo platonico, ha dunque in Carabellese un valore  gnoseolo­gico  ma ancor più metafisico, mostrandone il legame strettissimo. Nel concetto di Concreto come Coscienza, che sul piano gnoseologico Carabellese deriva dal concetto di coscienza e di sintesi della Critica kantiana, si attua uno spostamento dell’asse dell'interpretazione di  Kant dal Kant critico della conoscenza ad un Kant  metafisico in senso stretto. Carabellese, ripetiamo, lo inserisce in una linea ideale che va  da Platone  e il neoplatonismo plotiniano  al  Rinascimento italiano  di Bruno e Vico,   alla filosofia italiana dei  maestri  riconosciuti  di  Carabellese,  Rosmini  e Varisco[34].

 

 

5. I maestri di Carabellese

 

Proprio  ai rapporti di Carabellese con il  pensiero  di  Varisco  e Rosmini (Varisco e Rosmini, assieme a Kant  e Gentile,  furono  oggetto  della  polemica  con  Armando Carlini  del 1936[35] sui maestri di Carabellese)  vorremmo ora  dedicare un breve studio, per inquadrare  meglio  il suo pensiero soprattutto riguardo alla concezione della soggettività intesa come attivo pensiero pensante e allargata a comprendere perciò non i soli uomini, e questi non nella loro empiricità transeunte.

E'  appunto se si guarda più da vicino il  rapporto  che lega Carabellese a Varisco accennandolo almeno nei  suoi punti chiave che si comprende quell'accusa di soggetti­vismo  mossa da Carabellese all'idealismo  neohegeliano  italiano, e si chiarisce il significato dell'immanentismo  che Carabellese va propugnando, ambedue - accusa di  sogget­tivismo e significato dell'immanentismo - tesi a  salva­guardare  la  molteplicità e  irriducibilità  dei soggetti nella loro individualità irripetibile.

Oltre  che  sotto l'influenza  del  neokantiano  Filippo Masci,  che iniziò Carabellese allo studio di Kant,  gli anni  della formazione di Carabellese si svolsero  sotto l'iniziale influenza di Bernardino Varisco. Dal neokantismo di Masci, che, succedendo al suo maestro Bertrando Spaventa, insegnò Filosofia Teoretica a Napoli a  partire  dal 1885, ossia  negli stessi  anni  in  cui Carabellese  seguiva  il corso di  laurea  in  Lettere[36], proviene  a Carabellese un patrimonio di  carattere  non solo gnoseologico: la concezione della funzione formati­va dell'esperienza e non della sola conoscenza che hanno le forme a priori, che sottintendeva  una considerazione della totalità dell'attività spirituale umana che  supe­rasse  la scissione tra soggetto epistemico  e  soggetto empirico,  la  tesi  della  necessaria  implicazione  di soggetto e oggetto come negazione della loro  realistica divisione,  ma soprattutto la teoria  della  "formazione coeva del dato e della forma", forma che veniva liberata dalla  fissità del dato una volta per tutte e immessa in  un "processo di concrescenza materiale-formale"[37]. Secondo  Semerari, che ne dà  dunque  un'interpretazione trascendentale  e  non  metafisica considerandolo il contributo più originale della sua filosofia, Carabellese  chiama concreto     questo     processo     di concrescenza materiale/formale che in Masci rappresentava la  radica­lizzazione  della questione gnoseologica kantiana  delle forme  del sapere e dell'esperienza come forme in  grado di asserire non soltanto sugli stati soggettivi ma anche sugli oggetti fuori della coscienza.

La radicalizzazione e  liberazione dell'apriori kantiano dalla fissità e rigidità di matrice naturalistica come affermazione perentoria della “formazione coeva del dato e della forma" rimaneva  però in Masci ancorata a quel "fatto" che l'idealismo e il  neoideali­smo tendevano a superare e prendeva così le  distanze tanto dall'idealismo quanto dall'empirismo, che crede che "la conoscenza non abbia una legge interna propria"[38]. Ci è sembrato di poter suggerire che tale concretismo gnoseologico risulti in Carabellese solo il primo passo verso un più ampio progetto metafisico, e vorremmo aggiungere che nella Dialettica delle forme un intero interessantissimo capitolo è dedicato alla rivalutazione e all’analisi del fatto, alla sua assunzione metafisica nella Coscienza qualitativa, e ai suoi rapporti col fato, per cui dire che Carabellese contestasse la concezione positivistica del fatto è visione corretta solo se contestualmente si sottolinea la sua ferma asserzione dell’esistenza di fatti oggettivi, che mira realisticamente a prendere posizione contro il pericolo del relativismo. In altre parole, l’antipositivismo di Carabellese significa attenta valutazione critica, e assunzione, degli stessi progressi del positivismo.

Di Bernardino Varisco Carabellese  fu allievo diretto  a Roma.  Con lui infatti si laureò, per la seconda volta, in Filosofia nel  1905 con la già ricordata Tesi su Rosmini, poi pubblicata nel 1907  con la Prefazione del maestro, e  all'analisi  del suo pensiero metafisico dedicò nel 1914 l'opera L'Essere e  il  problema religioso. A proposito del  'Conosci  te stesso'  di Bernardino Varisco[39]. E’ da Varisco  che Carabellese derivò  l'orientamento verso le problematiche  metafisi­che: il distacco dal Positivismo e la teoria  dell'irri­ducibilità  di una molteplicità metafisica  di  soggetti spirituali  attivi (che Varisco derivava  da  Leibniz), nonché  la  concezione spiritualistica  dell'universo  e l'apertura  ai problemi religiosi. Più tardi, come si è detto,  Carabellese misconoscerà questa  filiazione  per restringerla a Kant e a Rosmini, ma l'analisi delle  sue opere non può che restituire, se non lo sviluppo, almeno l'influenza iniziale verso questi temi. Secondo  Raniero Sabarini[40], Carabellese viene in una prima fase  influen­zato dal criticismo di Varisco, ma nello stesso tempo ne dà  una  formulazione  più coerente e  lo  inserisce  in quella linea critica che va da Cartesio a Kant a  Rosmi­ni.  In  Varisco l'apriori  costituiva  il  "costitutivo metafisico della coscienza, e l'unità fondamentale entro la  quale  si pongono i molti soggetti", che  in  questo loro  convenire  in  essa la  presuppongono  nella  loro attività   coscienziale,  le  cui  determinazioni   sono "guidate  internamente  dal Principio immanente  ma  non esauribile  nelle  determinazioni  stesse."  Carabellese riprende l'apriori varischiano e lo radicalizza  metafi­sicamente.

All'Appendice IV della seconda edizione  del carabellesiano   L'idealismo  italiano,  che   raccoglie appunto  tre  saggi sul pensiero del  maestro,  vogliamo ora riferirci  per guardare al rapporto  Varisco-Carabellese con gli stessi occhi dell'Autore: vedremo come in sostanza a nostro parere da tale rapporto derivino a Carabellese elementi di riflessione sulla soggettività non solo in ambito gnoseologico ma anche metafisico che troveranno sistematizzazione solo nell’ultima fase del suo pensiero nella metafisica dell’Io. Tali elementi costituiscono spunti per la costruzione di una nuova concezione dell’uomo che si inserisce attivamente nei fermenti europei del tempo.

Sebbene il pensiero di Varisco si affermi con la specul­azione intorno al problema religioso, non è in essa  ma nell'impostazione  del problema della soggettività  -  a quello propedeutica - che Carabellese vede l'originalità del pensatore. La questione è sempre quella, per Varisco come  per  Carabellese, da un  lato  della  salvaguardia della  molteplicità  dei soggetti  singolari  di  contro all'affermazione  del soggetto unico universale  operata dall'idealismo  tedesco  e  dal  neoidealismo  italiano, dall'altro della considerazione della coscienza  univer­sale  come  oggettività intrinseca  e  costitutiva  del soggetto singolare, non riducibile, come per l'idealismo tedesco  e  il neoidealismo italiano,  all'attività  del soggetto in quanto essere costitutivo della coscienza.  Considerando  quello  varischiano schietto  idealismo  - cioè  per lui oggettivismo - per la sua distinzione  tra accadere  reale,  implicito alla coscienza,  e  accadere saputo,  esplicito ad essa, Carabellese  evidenzia  come anche  per  Varisco  esista una  pluralità di  soggetti considerati come centri singolari dell'accadere,  centri di sviluppo in cui l'accadere da implicito si fa  espli­cito,  e pure centri in cui l'accadere si pone non  come l'al  di  là dei soggetti estraneo ad essi, ma  come  il concetto inerente alla coscienza e quindi come l'elemen­to unificante di questa molteplicità di soggetti,  l'oggettività  singolare  della  molteplicità  plurale.   E' questo per Carabellese l'idealismo oggettivo di Varisco, idealismo che discende direttamente da Kant passando per Rosmini: l'insuperabilità della coscienza come orizzonte pone  l'oggetto come appartenente alla coscienza e  solo così, in questa immanenza oggettiva, ne deduce  l'ogget­tività.  Varisco,  afferma  Carabellese, è consapevole che la coscienza in univer­sale è ineliminabile dalla nostra stessa coscienza: l’oggettività “non sta di fronte e al di là del sogget­to,  ma lo costituisce: è quindi l'essere  dello  stesso soggetto”. Solo in virtù del suo essere costitutiva della  soggetti­vità, la coscienza in universale può divenire anche oggetto. Varisco così appartiene all’orizzonte comune dell’idealismo, secondo il quale “la realtà saputa è lo stesso sapere la realtà  e  realtà non vi è al di là  della  realtà saputa”, ma tale idealismo, nella negazione comune del dualismo soggetto-oggetto, viene in lui ad  assumere  una impronta  propria[41]. Tale  dualismo, che l'idealismo  tedesco  e  il  neoidealismo  italiano risolvono nell'attività del  sog­getto  come  soggetto universale, viceversa  Varisco, come  Carabellese, trasforma nella distinzione  soggetto-soggetto, ossia in molteplicità dei soggetti.

Allora Varisco è il rinnovatore della critica  kantiana, secondo  Carabellese, perché "scopre la natura  concreta dei soggetti particolari", ossia interpreta la negazione del dualismo nella direzione della soggettività concreta,  ponendo per la prima volta dopo Kant tale  problema, che in Kant aveva ancora un'imposta­zione dogmatica per la separazione astratta del sogget­to dalla realtà in sé. E, dando statuto ontologico a tale soggettività particolare, lungi dal ritornare a un  empi­rismo  prekantiano, inserisce rinnovandoli "gli  antichi problemi  della metafisica dell'essere nella  metafisica del  conoscere", ponendosi così nella direzione  di  una nuova  concezione della soggettività particolare,  dopo Kant non più finita, e plurale. 

Ma i punti di contatto non finiscono qui: sebbene Carabellese non abbia mai fatto una critica articolata e sistematica del positivismo, è  essen­ziale  e direi propedeutico a questa riflessione sulla soggettività il  rifiuto della concezione astratta dell'uo­mo propria del positivismo in nome di una nuova concezione in cui non solo sia superato il dualismo soggetto-oggetto nella superiore sintesi concreta, ma anche siano presi in considerazione elementi dell’esperienza che pure concorrono a formarla e che invece il positivismo ignora. Il  Vari­sco che interessa a Carabellese quindi non è il  Varisco positivista:  nel varischiano Scienza  e opinioni,  visto come distacco dal positivismo e sua prima critica - secondo Carabellese ancor precedente a quella idealistica -, egli rinviene  una posizione polemica nei confronti dello scientismo  e  della  scienza incentrata sull'affermazione che il concet­to  scientifico  non è in grado di  esaurire  il  campo dell'esperienza umana. Al suo fianco vi è appunto l'opi­nione, che non ha i caratteri della scienza,  ma  fa leva sul credere dell'uomo e dunque implica la fede.  Il concetto  di uomo da porre al centro della riflessione filosofica è pertanto non astratto ma vivo e concreto, e tale riflessione, piuttosto che eliminare come il positivismo fa ciò che la scienza non riesce a  giustifica­re, deve prendere atto di tale sconfinamento almeno attuale della complessità e ricchezza dell’essere uomo dalla dimostrabilità e razionalità scientifiche per porsi il problema, con tale riconoscimento, della sua leggibilità.

Varisco come Carabellese si muovono dunque lungo la linea di un allargamento del concetto di esperienza in cui i confini tra sentimento, intelletto e volontà siano “tolti”, si direbbe con espressione hegeliana, nel superiore concetto di ragione, una ragione la cui delucidazione e il cui svelamento non sono ancora finiti. In questo senso Carabellese, e prima di lui Varisco, è vicino a quel movimento di pensiero che trova in Dilthey una delle sue espressioni più felici nella teorizzazione dell’uomo intero. Partendo dalla gnoseologia e allargando il discorso a tutte  le sfere della vita del soggetto, il progetto carabellesiano prevede  un accoglimento e un innalzamento al piano metafisico di tutte le sfere che caratterizzano l'attività spirituale umana, nel convin­cimento che questa solo astrattamente può essere scissa in intelletto, sentimento e volontà, e che solo riduttivamente può essere privilegiata l'attività conoscitiva del soggetto. Ma c’è di più: il concetto di io in Carabellese, che assume un allargamento metafisico dal vivente al pensante al sapiente, è passibile di essere messo in relazione con la tematica simmeliana della vita-più vita-più che vita: questo ci pare un’intuizione da approfondire in uno studio a sé.

Varisco offre perciò a Carabellese stimoli nella direzione di una concezione dell’uomo più vicina all’uomo reale nella concretezza della sua esperienza e in grado di render conto delle sue spinte ideali e dei suoi valori non solo riguardo allo statuto ontologico della soggettività plurale ma anche alla presenza, accanto al concetto, del sentimento implicito nell’opinione e inteso come fede. E’ pertanto da qui che Carabellese compirà il primo passo verso quella rivalutazione di un sapere comune in connessione col sapere scientifico su una stessa linea di continuità, che gli consentirà di parlare del primo come con-sapere implicito di origine metafisica da esplicitare nel secondo. Ma ciò che preme rilevare è che la sottolineatura, sebbene non tematizzata, del ruolo della fede nella conoscenza in senso generale evidentemente pone Carabellese su quella linea di pensiero, di cui Hegel costituisce un punto cardine, tesa ad affermare la necessaria implicazione tra ragione e fede – o meglio, secondo noi, un concetto di ragione che sussuma la fede come ponte metafisico, che consente all’uomo di fare il salto da vivente a pensante e di pensarsi come Individuum metafisico: è dell’ultimo Carabellese la felice espressione di “uomo pensante che vive”[42]. In questo senso la concezione varischiana di una molteplicità irriducibile di soggetti metafisici può essere vista come un primo stimolo in questa direzione.

Nonostante la concordanza di Varisco col neoidealismo sull’astrattezza della concezione positivistica del fatto e dell’uomo, egli nondimeno reputa che il neoidealismo abbia  sosti­tuito a tale astrattezza quella del soggetto universale come autocoscienza, anch’essa da confutare ponendosi sul terreno della  concretezza dei soggetti particolari. Ma ciò che rileva Carabellese distinguendosene è che sia per l’idealismo oggettivo di Varisco sia per l'idealismo soggettivo la  realtà trovi  il proprio principio in un Soggetto assoluto: Varisco identifica il Soggetto assoluto con Dio[43], mentre nella polemica carabellesiana contro l’idealismo soggettivo tale identificazione del Soggetto universale con Dio è negata,  in quanto il Soggetto è sempre in rapporto a qualcos'altro  da  sé, l'Oggetto, sia pure intrinseco, per cui il Soggetto universale verrà ad essere, nell’ultimo Carabellese, uno dei gradi dell’Essere nel circolo Dio Io, ma è da distinguere a nostro parere sia dal Principio sia dall’Essere.

Questa concezione varischiana di Dio come Soggetto universale porta Varisco, secondo Carabellese, a perdere l'importante acqui­sizione  della  pluralità dei  soggetti  che  convengono nell'unicità dell'oggetto – e quindi in qualche modo anche a sconfessare il suo idealismo oggettivo -, perché  la  sua  esigenza  religiosa   trova espressione nel concetto di Dio come Persona trascenden­te, concetto che Carabellese ritiene una  sovrastruttura derivante  dalla matrice cattolica di Varisco, il  quale mira  ad un accordo[44] tra pensiero filosofico  e  dottrina religiosa[45]. La trascendenza di Dio come Persona  è per Carabellese una questione di fatto che si ritrova  nelle religioni  positive, e non una questione di diritto  che procede dall'essenza della religione, essenza che impor­ta invece l'immanenza di Dio nella  coscienza dei singoli soggetti.

In definitiva, se Carabellese si pone in sintonia con la preoc­cupazione  varischiana  di salvare la  molteplicità dei soggetti nell'immanenza della coscienza, al tempo stesso nella polemica con Carlini del ‘36 sui suoi maestri nega[46] di essere mai stato varischiano puro come Carlini vorrebbe, perché, al di là del forte apprezzamento per la dottrina varischiana della soggettività, del maestro non ha mai condiviso fino in fondo né lo gnoseologismo né l'esigenza di giustificare la  dottrina e la rivelazione cristiane: egli si sente piuttosto come colui il quale ha proposto una nuova interpretazione  di Kant  sotto motivi rosminiani al fine di  costruire  una nuova critica, la critica del concreto. Ma nonostante ciò, si può affermare che la  concordanza tra il pensiero di Varisco e  quello  di Carabellese  non si  esaurisce nella  comune  concezione dell'idealismo  oggettivo,  teso ad affermare  l'imma­nenza dell'Essere nella coscienza come  realtà  dell'oggetto di coscienza  nel mentre dichiara la pluralità dei soggetti,  ma  si  ritrova  anche  nella  considerazione dell'imprescindibilità  del  rapporto tra  metafisica  e gnoseologia, come si è qua e là sottinteso: "La  filosofia, per il V., [...] è dunque metafisica fondata  sulla gnoseologia"[47]

Al di là dell'influenza dei maestri Masci e Varisco,  Carabellese sviluppa  il proprio pensiero confrontandosi con  alcuni pensatori  del  passato: oltre Kant, cui abbiamo dedicato un capitolo, Rosmini,  Spinoza[48], Cartesio[49] e Sant'Agostino,  cui  si richiama con approfonditi studi tematici e con originali reinterpretazioni di storia della filosofia.

Sull'interpretazione  carabellesiana  di  Cartesio,  che meriterebbe uno studio a sé, diremo solo che Carabellese vuol avviare una riconquista del cartesianesimo, secondo lui  offuscato nella sua scoperta perenne  dal  pensiero postkantiano,  che ha falsamente interpretato il  “cogito ergo  sum” come affermazione dell'autocoscienza  e  come negazione  sia della singolarità dell'io che  della  sua pluralità  nel  noi, dando adito  alla  filosofia  dello gnoseologismo  come negatrice della singolarità e della pluralità  dell'io. Ma soprattutto la filosofia del conoscere ha tralasciato il  piano ontologico della scoperta cartesiana, da interpretare nel senso dell’oggettivismo immanentistico e dunque della filosofia dell’essere. La scoperta perenne di Carte­sio, infatti,  obliata dal cartesianesimo tradizionale,  consiste nell'affermazione cartesiana dell'immanenza  dell'Essere in sé nel cogito. Il sum del cogito non è una  deduzione sillogistica,  ma proprio l'esigenza stessa del cogito nel  suo  essere partecipe  della  sostanza  spirituale, l'Essere  in sé, Dio. Così Carabellese può dire  che  il cogito ergo sum è in realtà affermazione  dell'argomento ontologico, nella trasformazione dell'evidenza da regola di  verità  in regola dell'essere: "[...] l'idea  di  me richiede  a  sua  condizione l'idea di  Dio.  Perciò il cogito  primo e integrale di Cartesio è il  cogito  Deum [...]  <<io penso>> ed <<io esigo di essere>>  sono  per Cartesio la stessa cosa [...]"[50] Con Cartesio, in  altre parole,  si  ha  la scoperta  della  spiritualità  della sostanza  e della sua immanenza in me pensante, e  l'ab­bandono definitivo della sostanzialità inerte e passiva: il valore di Cartesio non è quindi in campo gnoseologico ma in campo metafisico.

Ma, assieme a Kant, è Rosmini in particolare, dalla tesi di laurea in Filosofia sino al riconoscimento  esplicito  del 1936, che Carabellese sente come suo maestro[51]. Egli vede   in  Rosmini  lo  sviluppo  in   senso   oggettivo dell'apriori kantiano, sviluppo che consente alla  filo­sofia   di  uscire  dallo   gnoseologismo,   imbrigliato nell'opposizione tra conoscere ed essere, e di approdare al  pensiero  dell'essere. Ciò che  interessa  in  primo luogo  a  Carabellese della filosofia  rosminiana è, come si è già visto nella polemica con Gentile,  la centralità  e l'oggettività sostanziale dell'idea  dell'essere,  che gli fornisce la possibilità di opporsi al  soggettivismo e di aprirsi all'oggettivismo, sia in campo gnoseologico che in campo metafisico.

Ma per comprendere a fondo il rapporto che lega Carabel­lese  a  Rosmini è necessario  inserire  l'ontologismo critico carabellesiano all'interno  del  più  generale dibattito  riguardo al rapporto tra critica e  ontologi­smo.  A  questo proposito è illuminante  il  quadro  che viene  fuori dagli Atti del XIV Congresso  Nazionale  di Filosofia del 1940[52]. Dalle prime relazioni  contenutevi, in particolare di Arturo Beccari[53] e di Gustavo  Bontadini[54],  si  comprende come nel  panorama  della  filosofia italiana  dell'epoca  il nuovo  sistema  di  Carabellese ormai  suscitasse non poco interesse, e  addirittura  un nutrito  dibattito  di cui questi Atti  rimandano  solo l'eco,  perché lo si vedeva come una strada  alternativa allo  sterile  confronto  tra neotomismo da  un  lato  e neoidealismo dall'altro. Lo stesso Carabellese  consape­volmente si poneva come terza via tra realismo e ideali­smo in grado di superare la scissione e di rinnovare  la filosofia italiana, riaccendendo, attraverso la  ripresa di Rosmini, l'interesse verso l'ontologismo[55]. Ontologismo  peraltro  non  ortodosso,  quello  di  Carabellese, perché  mediato  dalla  critica  kantiana:  ontologismo critico[56].

E' dalla lettura di tutte le relazioni che compongono la seconda  sezione  del Congresso, ma  in  particolare  di quella  di Aldo Devizzi  su  un  critico dell'ontologismo,  Padre Matteo Liberatore[57],  che  viene fuori il quadro dei debiti teorici di Carabellese  verso questa  corrente, quadro in grado di gettare luce  sulla connessione carabellesiana tra gnoseologia e  metafisica e dunque sulle matrici profonde della sua filosofia. Ben prima  di  Carabellese,  lo sfondo  della  polemica  tra neotomismo  e  ontologismo riguardo  alla  metafisica è costituito dalla concezione dell'Assoluto,  trascendente secondo gli uni, immanente e perciò passibile di condur­re  al  più  rigoroso panteismo secondo  gli  altri.  Ma questo argomento di carattere squisitamente metafisico, implicando il problema del modo in cui è possibile un rapporto tra l'uomo e l'Assolu­to,  veniva a collegarsi al problema  della  conoscenza, trasponendo  così la questione sul  piano  gnoseologico. Gnoseologia  e metafisica risultavano così  strettamente collegate,  e il terreno di scontro solo  apparentemente neutro  tra neotomismo e ontologismo diveniva la  teoria della conoscenza, e in particolare la teoria dell'astra­zione.

Fondamento dell'ontologismo infatti può essere  considerata  l'affermazione  che  tale rapporto  tra  l'uomo  e l'Assoluto è, attraverso l'intuito, assolutamente  imme­diato e positivo[58]. Da qui discende che il soggetto cono­sce  il Vero in sé, Dio, immediatamente, e le cose  solo mediatamente, ossia tramite le idee. Queste non sono  un prodotto dell'astrazione conoscitiva del soggetto,  come invece sostiene il neotomismo, ma sono viceversa emanazioni di  Dio. Il passo a considerarle gradi dell'Essere  pan­teisticamente  inteso, e a identificarle con Dio  in  un assoluto  immanentismo,  era  apparentemente breve. Come  si  vede,  la questione delle idee o universali e della loro  origine, di  carattere apparentemente gnoseologico, finiva  col  ri­guardare  la stessa struttura dell'Essere, divenendo  di pertinenza  della metafisica. La teoria  dell'astrazione diventava  centrale per la stessa questione della  crea­zione: se le idee sono gradi dell'Essere divino, non si può parlare di creazione ma di emanazione, che nei suoi gradi più bassi coinvolge le cose stesse.

A questa interpretazione dell'astrazione come  immanenza delle  idee  nella conoscenza tale che la  conoscenza  è conoscenza di idee si oppone il neotomismo: le idee sono non oggetto ma mezzo della conoscenza. L'astrazione  non trova  l'universale immanente nel soggetto  come presenza intuitiva di Dio, ma lo produce appunto  per astrazioni  successive dovute all'intelletto, in cui Dio è  il lume della conoscenza.

Il  richiamo a questa polemica sull'astrazione, oltre  a chiarire che la connessione carabellesiana tra metafisi­ca e gnoseologia si inscrive in uno scontro tra neotomi­sti e ontologisti che precede la filosofia di Carabellese, è utile perché consente di mettere in  evidenza  i punti di maggiore concordanza tra l'ontologismo  critico e  l'ontologismo in generale. Anche per  Carabellese  il rapporto  tra l'uomo e Dio è, agostinianamente,  intuito immediato  e  non conoscenza mediata: chi  pensa,  pensa Dio,  afferma Carabellese rifacendosi anche al cogito Deum di Cartesio. Dio dunque è Oggetto  della  coscienza,  Oggetto puro che fonda non la sola  conoscenza ma la coscienza. Dietro questa conoscenza intuitiva  e immediata di Dio sta la conoscenza discorsiva e mediata, che  si qualifica come sforzo, inconcluso in quanto  non solo  l'esperienza  ma anche la  speculazione  può solo lambire, mai possedere, l'Idea, che pure resta l'Oggetto primo della nostra intuizione.

In quest'accordo con la tesi fondamentale dell'ontologi­smo Carabellese si ricollega a Rosmini, sebbene  secondo Dezza  questi,  fin dal 1845, si opponesse  a  una  tale definizione, quella di ontologismo, per il suo pensiero. Anche  in  Rosmini il punto di partenza e il  fondamento del sistema metafisico è il problema gnoseologico  della formazione dell'universale. Quando noi con  l'astrazione ricaviamo  un'idea  generale, contenuta in  una  nozione particolare  da  cui l'abbiamo  astratta,  non  compiamo un'operazione di produzione di quell'idea: questa è infatti già contenuta nella nozione particolare, e da noi  solo riconosciuta.  Ciò  vuol  dire che  non è l'astrazione come operazione dell’intelletto l'origine  dell'idea universale. Anche nel giudizio,  il secondo modo in cui possiamo formare le idee universali, l'idea è già  presente, dal momento  che  il  giudizio stesso è connessione a un soggetto di un'idea universale sotto  forma  di  predicato. E'  necessario  dunque  che esista  almeno  un'idea universale  prima  di  qualunque giudizio e di qualunque conoscenza: l'idea  dell'essere, innata e intuitiva. La conoscenza di tale idea  dell'essere è, come si è detto nella polemica Carabellese-Gentile, la percezione intellettiva, la cui teoria Rosmini espone  nel  Nuovo saggio sull'origine  delle  idee, del 1830.

Come si vede, l'analisi rosminiana della conoscen­za ha condotto a ridurre il numero degli elementi forma­li  e  a priori che fondano la conoscenza  universale  e necessaria  per  Kant: vi è un'unica idea a  priori  che precede  l'esperienza e fonda la conoscenza, idea  inde­terminatissima,  universale e necessaria. Questa idea  è oggettiva  e non soggettiva in senso kantiano,  ossia è innata nell'uomo per volere di Dio ab aeterno. L'oggetto del  pensiero è l'essere, nelle tre  forme  dell'essere ideale,  reale e morale. L'essere ideale, oggetto  della gnoseologia  -  gli altri sono  oggetto  rispettivamente della metafisica e del diritto e della morale - è l'essere possibile, forma a priori che si unisce alla  mate­ria  a posteriori data dalle sensazioni  costituendo  la sintesi  a  priori che porta alla  conoscenza  dell'ente reale. L'idea dell'essere consente il realismo gnoseolo­gico,  ossia l'oggettivismo della conoscenza che supera il  soggettivismo kantiano, e dunque il  rischio  dello scetticismo che quello lasciava aperto: essa è di natura divina, ossia creata da Dio, ma non si identifica con Dio, che rimane Persona assoluta e non è l'ontologizza­zione di un concetto.

Non è possibile né utile qui addentrarci  ulteriormente nell'analisi  della gnoseologia rosminiana, dal  momento che crediamo di avere sufficientemente messo in luce  in essa  il legame con la metafisica. Per approfondire  ora il  posto che essa occupa nel pensiero carabellesiano  a partire dalla tesi di Laurea in Filosofia, riferiamoci a ciò  che  Carabellese stesso scrive nel  saggio  Da Cartesio  a  Rosmini   dedicato  a  riproporre   Rosmini all'attenzione filosofica[59].

La  gnoseologia rosminiana interessa a  Carabellese  come si è detto per uscire  dalla filosofia del conoscere e  approdare  alla filosofia dell'essere, rimettendo la speculazione  sulla strada maestra della metafisica. Il problema di  Rosmini non è il problema gnoseologico dell'origine delle  idee, come farebbe pensare il titolo dell'opera rosminiana del 1830:  sarebbe  ancora fondarsi  sulla  distinzione  tra essere e conoscere, ponendo l'essere fuori dal  conosce­re,  e dunque riproporre una gnoseologia che  presuppone l'ontologia e da essa  separata. Un'ontologia  tradizionale ferma a Cartesio e Locke  che non  si  è accorta della lezione di Kant, dunque con  radici  storiche limitate.  Ma il "Kant già  interpretato  dall'idealismo tedesco  postkantiano che Rosmini trova" è il Kant  che, di  fronte al dubbio humiano sulla verità,  riprende  la "certezza  cartesiana" per ridurla a verità  fenomenica, aprendo  così la strada all'assolutizzazione  dell'espe­rienza e all'eliminazione della cosa in sé: alla filoso­fia  del conoscere.

Secondo Carabellese, Rosmini, pur riconoscendo a Kant il merito di aver dimostrato la  possibilità della matematica  e della fisica come pura scienza a  priori, lo critica poiché Kant ha lasciato aperta la strada allo scetticismo nella conoscenza, non eliminando le obiezioni di Hume, dal momento che ha tralasciato di dare soluzione al problema della verità del singolo fatto nei suoi modi e nei suoi perché. Mentre Kant non dà ragione della aposteriorità ma solo  dell'apriorità della conoscenza, la teoria della  percezione intellettiva  di Rosmini vuole dimostrare la verità da un lato dell'atto percettivo, dall'altro della scienza sperimentale.  L'esperienza  dei  fatti nella loro  singolarità  non è soltanto  il  post e il prodotto della  scienza  fisico-matematica nella sua apriorità, ma è anche il necessario presupposto di questa, ciò da cui questa trae alimento e problemi, la sua prima base – qui ritorna il rapporto tra coscienza comune e scienza (tra sapere e conoscere) di cui ci occuperemo a breve. La scienza non è soltanto la pura scienza  razionale  di Cartesio, ma è anche  la  scienza sperimentale di Galilei."[60]  La teoria rosminiana della percezione  intellettiva si prefigge di  dare  appunto dimostrazione dell’oggettività della conoscenza a posteriori, ponendo il compito di fondare l’esperienza. Ed è perciò,  questo, merito  incontestabile  di  Rosmini di  fronte  a  Kant. La sua originalità in campo gnoseologico, nel rifiuto del   dualismo   soggetto-oggetto   e della dicotomia conoscere/essere, consiste nella riaffermazione della  “positiva oggettività del conoscere umano”, ossia della possibilità che verità e certezza coincidano, che il conoscere abbia una sua validità oggettiva di scienza, contro lo scetticismo e il relativismo. Tale riaffermazione dell’oggettività della conoscenza avviene connettendo all’idealità come  forma propria  dell'essere il valore di oggetti­vità come esigenza del conoscere. L'idea dell'essere, in questa connessione tra essere e conoscere, non è più soltanto idea senza essere, secondo  la concezione dualistica dell’essere fuori dal conoscere: è l’essere ideale,  e così  oggettivo. Tale essere ideale, che si pone nella scia dell’interpretazione globale della Critica kantiana come suo sviluppo, inserisce l'essere nella coscienza e di tale inserimento dichiara l'oggettività,  "rompendo il processo di annul­lamento dell'essere" e superando l'astrattezza  dell'im­postazione  kantiana  con una concezione  del  conoscere come conoscere  concreto, ossia  sapere  "non  limitato all'uomo"  e non separato dall'essere.

L’interesse di Carabellese verso tale teoria consiste perciò per un verso nel fatto che il problema  psicologico  dell'origine delle idee è superato e sostituito da quello della  fonda­zione dell'esperienza, da Kant lasciato insoluto, e per l’altro che tale fondazione consente a Carabellese anche qui di aprirsi la strada verso la concretezza dell’esperienza nel suo farsi,  tralasciando la divisione tra aposteriorità e apriorità e, nel metterle in relazione,  istituendo una circolarità tra "post e prodotto"  e apriorità[61]. Il problema è uscire dal “come se” kantiano, dalla separazione tra essere e fenomeno, per riaffermare sotto una nuova chiave più comprensiva il realismo razionale, pur nella consapevolezza che spostare in avanti il limite della cosa in sé kantiana non significa sconfiggerlo, ma andare, uscendo dai pericoli insiti in una  concezione stretta e riduttiva dell’analogia, nella direzione di una concezione positiva (non positivistica, ma postpositivistica e realistica) del fatto.

L’interpretazione carabellesiana di Rosmini non si limita a considerarlo il fondatore dell’esperienza nella sua aposteriorità, poiché in tal caso egli rimarrebbe comunque all'interno della filosofia del conoscere, lasciando  da parte  e  negando la cosa in sé. Rosmini viceversa appartiene alla filosofia dell’essere, poiché considera la cosa in sé necessaria non soltanto nella conoscenza, in quanto come oggetto puro fonda la positività  dell'oggetto fenomenico percepito e con esso dell'atto della percezione -  senza cui saremmo nel campo dell'immaginazione  e  non in quello  della  conoscenza - , ma anche nell’Essere stesso, per la trasformazione operata da Rosmini della cosa in sé in Essere ideale oggetto della coscienza dei soggetti. La saldatura tra  gnoseologia e ontologia nella metafisica trova  il proprio  punto  di forza nella cosa in  sé  kantiana, interpretata non dal lato della sua inconoscibi­lità ma dal lato della sua noumenicità:  come  oggetto ideale del pensiero. La noumenicità viene interpretata come oggettività: l’essere possibile è dunque oggettivo[62]. E tale oggetto ideale che consente la connessione tra gnoseologia e metafisica, trasposto sul piano  metafisico,  diviene  in Rosmini da semplice idea di Dio Essere oggettivo, ideale nella  sua pensabilità che è inconoscibilità  nel  senso che è "più che conoscitiva", ma soprattutto  nella  sua ricchezza priva di limiti che è ine­sauribilità.

In Rosmini si ritrova l’affermazione dell’Essere in sé come esigenza della Coscienza  metafisica della quale la coscienza umana è parte, e dell’immanenza dell’Essere oggettivo nell’essere soggettivo, in opposizione sia al realismo neoscolastico sia  all'idealismo postkantiano. Per Carabellese, con questa dimostrazione del rapporto tra essere e conoscere, che è riprendere Cartesio e Kant nelle loro scoperte  specula­tive di carattere ontologico reinterpretandoli originalmente, Rosmini da un lato si inserisce  nella  linea della filosofia italiana del Rinascimento e del Risorgi­mento,   che nega la separazione tra essere e  conoscere sul  piano metafisico e tra verità e certezza sul  piano gnoseologico,   e  dall'altro  ne  porta  a  maturazione esplicita  il  patrimonio,  emergendo  con  una  propria scoperta  che  racchiude e supera tutte  le  precedenti: l'Essere ideale unico come Oggetto puro  di  co­scienza dei soggetti reali. Rosmini, in questa teorizzazione che apre un nuovo periodo alla speculazione, conduce alle  estreme conseguenze il concetto di cosa in  sé scoperto da Kant, e riconosciuto come Idea pura immanente alla coscienza dei soggetti, conservandone l'inseità e trasformandone l'ideali­tà  in una delle tre forme dell'essere[63].

Sin qui Rosmini, che dunque  Carabellese vede interno alla linea dell'idealismo oggettivo. Ma da qui Carabellese  inserisce il confronto tra Rosmi­ni   e  Kant[64]. Infatti   nell'affermazione   rosminiana dell'Essere ideale unico come oggetto puro di  coscienza Carabellese intravede, al di là del proclamato  antikantismo  di Rosmini, la possibilità di conciliare  Rosmini con Kant. Questa possibilità si inscrive nella  riattua­lizzazione   del problema critico che Carabellese  sente come  compito  del  suo presente  filosofico  in questi termini: "Nel  sapere come è possibile  che  io soggetto,  che ho la certezza (Cartesio e Kant),  sappia l'oggetto  che  ha la verità (Rosmini), se io  non  sono l'oggetto e l'oggetto non è io?”[65]

A monte di tale  riattualizzazione carabellesiana del problema critico, che solo  apparente­mente è soltanto gnoseologico, c'è il progetto della fondazione di  una nuova metafisica critica. Essa trova il suo spazio nella ripresa dell'affermazione kantiana dell'imprescindibili­tà  della metafisica come esigenza, e la  sua  direzione nell'interpretazione  radicale di tale affermazione  nel senso della possibilità: se la metafisica è esigenza,  e dunque  la sua possibilità è fondata, il  compito  della ragione  consiste  per un verso nel fondarla  nella  sua realtà (problema interno della filosofia nel suo statuto di scienza), per l'altro nell'"assicurarci della cosa in sé e quindi non renderci abitatori della platonica caverna” (problema esterno della filosofia nel suo oggetto principe, quello metafisico). La risposta che in ambito metafisico (con ricaduta gnoseologica) Carabellese darà a quella nuova domanda del suo presente si configura nei termini del livello dell’Essere come Soggetto-Oggetto, che, nel rapporto tra Dio e Io, si manifesta come Essere-Sapere o Concreto.

Nella riattualizzazione del problema critico mediante la  conciliazione  di Rosmini con  Kant,  tesa alla fondazione di  una nuova metafisica critica in cui è rinvenibile il percorso  personale  di Carabellese, l’idealismo concreto non è più definibile né come oggettivo né come soggettivo. Nella scoperta del Concreto infatti, afferma Semerari, l'ideale e il reale,  l'og­gettivo e il soggettivo, il particolare e  l'universale, il soggetto  e  l'oggetto, io e Dio,  il  concreto  e l'astratto,  "che la intera tradizione filosofica  occi­dentale  aveva  continuamente scisse  l'una  dall'altra, rendendole astratte e scambiate per il concreto stesso", sono  condizioni  distinte  ma non separate  di  cui  il Concreto  stesso è la concrescenza strutturale[66].

Carabel­lese supererà la separazione rosminiana delle forme dell’essere  affermando che, sebbene idealità e  realtà  siano l'una oggettività e l'altra soggettività, non è vero  che l'oggettività ideale e la soggettività reale sono  due  forme diverse   dell'Essere  concreto: esse sono condizioni intrinseche e inseparabili  dell'Essere, di cui l’una ne specifica l'unicità e l’altra la pluralità. La loro inseparabilità consiste nel fatto che esse “individuano in concreta  coscienza  l'essere, e in concreto  essere  la coscienza"[67]. Oggetto e  Sog­getti,  Principio e Termini sono non forme diverse   ma condizioni  intrinseche e inseparabili del Concreto o Coscienza, al di là del quale, come ambiente omnicomprensivo che riecheggia l’Umgreifende jaspersiano, non è nulla: infatti  "[...] l'Essere ideale, riconosciuto in sé come Oggetto,  viene ad  essere riconosciuto anche come Principio  [...]  che non  può  essere una forma a sé stante  ed  autonoma  di essere.  Il  Principio non può essere  principio  di  se stesso,  ma  deve  essere Principio  dell'altro  in  cui immane [...] e pur non è esaurito e non è esauribile  da questo  <<altro>> [....] Questa inesauribilità è la  sua trascendenza."[68] Se per un verso dunque  l'Oggetto  immane nella coscienza dei soggetti, per l'altro pure, come Principio, la trascende, e in ciò è  la sua inesauribilità: immanenza e trascendenza sono conci­liati nel Concreto: la trascendenza è nel Concreto, non dal Concreto: non vi è separazione ma articolazione e connessione dei vari livelli di ciò che l’ultimo Carabellese, togliendo la connessione-separazione dualistica tra Essere e Sapere, chiamerà Essere.

La saldatura che nel Concreto carabellesia­no è rintracciabile tra gnoseologia, ontologia e metafisica trapassa dunque nella teologia. E' allora nella kantiana idea  di Dio che Carabellese incentra il suo discorso metafisico, il cui senso profondamente religioso si rivela in questa centralità  del  problema di Dio,  visto  come  problema "unico"  della  filosofia. Ma per lui Dio,  l'idea  pura immanente  alla  coscienza dei soggetti  del  criticismo kantiano, si trasforma in Idea assoluta, metafisica: Dio è per Carabellese l'Oggetto puro immanente alla Coscien­za e che fonda questa Coscienza stessa, Dio è l’Idea dell’Essere.

Ma i debiti di Carabellese verso Rosmini non si limitano alla fondazione  dell’esperienza nella sua concretezza e alla concezione dell'Essere ideale unico  come  Oggetto puro  di coscienza. E’ anche la concezione rosminiana della soggettività e quella della realtà che influenzano Carabellese. In Rosmini la pluralità dei soggetti costituisce la forma reale dell’Essere, la realtà. Tali soggetti plurimi sanno intrinsecamente l’Essere ideale, sono “senzienti” (lo sentono), e perciò sono intelligenti, dal momento che l'Essere ideale costituisce la loro intelligenza.[69]. Il  pluralismo soggettivo  che  già  in Varisco costituisce un innalzamento al piano  metafisico dei soggetti nella loro pluralità, in Rosmini si defini­sce  come  unica forma di realtà  dell'essere: qui ci sembra di poter dire che il termine realtà è inteso in senso forte di Wircklichkeit.  L'essere reale  - la realtà - è soggettività plurima che  ha  per Oggetto unico l'Essere ideale, loro fondamento e  fonda­mento  del  loro convenire.  

Rosmini  approfondisce  per Carabellese  quella concezione della  soggettività come singolarità plurale  che  già  il  Cristianesimo  aveva "scoperto e messo in valore" e che Cartesio aveva  messo in luce come pensante, ma nel contempo ne sottolinea  la realtà, che Carabellese allargherà al di là dei viventi. Il senso forte da dare alla parola realtà si evidenzia quando Carabellese afferma che la soggettività è reale nel momento in cui, dicendo “io”, ciascuno  di  noi, riconoscendo implicitamente piuttosto che negare l'alterità dell'essere e il suo Principio ideale, si individua all’interno di un’organica  individuazione   molteplice  di  quel Principio  unico. La soggettività reale non è dunque né Principio né  prodotto,  ma potenza agente, attività sapiente e pensante, pensante perché sapiente e sapiente perché pensante: l’individualità irripetibile che Carabellese chiama soggetto reale – e che è reale quando agisce pensando a partire dal suo sapere l’Essere a finire al suo rendere possibile la manifestazione dell’Essere, potremmo dire la Ragione in sé e per sé - è teosoficamente, sulla scia di Rosmini, potenza agente. Tale potenza agente, nel Concreto, è sempre per un verso sapere in comunione (noi sappiamo, Sabarini dirà cum-scire[70]), ossia sapere nella coscienza relativa o alterità concreta, per l’altro sapere nel suo Principio assoluto come esigenza.

Questo sapere orizzontale e verticale permette a Carabellese di criticare l'esistenzialismo: “mio Principio non è il  nulla, bensì  l'ideale  Essere in sé, mio atteggiamento  non  è l'angoscia, bensì lo sforzo."[71], nella certezza del raggiungimento della positività dalla quale pure proveniamo. Potremmo aggiungere che questa certezza fideistica, e dunque apparentemente solo sentimentale e perciò irrazionale, si illumina di verità razionale nel momento in cui, con quello stesso sforzo del pensiero che il sapere richiede come esigenza della coscienza per l’attuazione della Coscienza, noi raggiungiamo un più alto, e al tempo stesso più profondo e più largo, livello di coscienza di quello stesso sapere: in quel momento in cui il livello si fa superiore la razionalità della certezza si rivela, e tra la certezza e la Verità il confine si assottiglia, la distanza si accorcia: noi, che siamo essere spirituale, come potenza agente abbiamo compiuto, agendo realmente nella realtà e conoscendo realmente (ossia razionalmente) la verità di quella stessa azione (diversa dalla causa originaria come dal fine futuro, che Carabellese vede come altrettanto oggettivi della verità, potremmo dire, nella coincidenza reale di soggettività e oggettività – la sola concreta - soggettivo-oggettivi, ossia razionali) un altro passo verso l’attuazione del nostro essere razionale. E contemporaneamente un altro passo nel sistema della Ragione e verso la sua attuazione.

Il progetto carabellesiano di pluralizzazione e innalzamento del soggetto ad un livello metafisico avviene nella radicalizzazione del concetto di soggetto sia di Varisco che di Rosmini che di Kant. In tale radicalizzazione il soggetto, non più soltanto astrattamente epistemico, non è riconoscibile nemmeno semplicemente come uomo, ma si pone come pensante-che-vive, ossia tale che include, oltre i credenti e gli uomini in generale, anche coloro i quali, nella loro individualità molteplice, ci attorniano col loro spirito. Che cosa Carabellese intendesse per pen­sante-che-vive appare chiaro da questo passo, in cui si riferisce all’indispensabilità della filosofia e dei filosofi: "E' dunque di pochi questo specialissimo atto del meditare puro, che importa rinuncia alla propria attualità di persona viva tra i vivi del proprio tempo, per assurgere a persona concreta  tra i vivi di ogni tempo [...]"[72] Qui Carabellese oppone all'attua­lità dei vivi la concretezza dei vivi di ogni tempo, ed è su questa concretezza che deve concentrarsi la nostra attenzione: concretezza che appartiene allo spirito del pensante, ossia ai "vivi di ogni tempo", spiriti eterni che non nascono e non muoiono, eterni ab aeterno e in aeternum, ossia dall’inizio alla fine dei tempi. Infatti, in altro luogo, limitando in qualche modo l’oggetto della filosofia, che nella sua ultima speculazione è l’Essere e non semplicemente lo spirito temporale nel quale l’Essere si attua, Carabellese afferma: "[...] lo spirito è eterno, e della filosofia oggetto è proprio lo spirito in quanto eterno [...]. La filosofia perché è riflessione sull'Assoluto, può scoprire, non può e non deve creare: sarebbe la sua una creazione dell'Assoluto."[73] E, nel sottolineare la distanza tra il vivere temporaneo e l’essere assoluto ma temporale dello spirito, riecheggiando inoltre la fichtiana Missione del dotto, afferma: "[...] i pochi chiamati, con una forza che trascende ogni loro limitata velleità di persone temporanee [...].: i pochi non scelgono ma sono scelti a questa missione che è il fare filosofia, il meditare, e la forza del loro spirito trascende ogni loro limitata velleità di persone temporanee."[74] Ma dove è veramente chiaro questo statuto metafisico dello spirito che oltrepassa l’esperienza empirica nell’esperienza metafisica è in questa frase, in cui sottolineamo il ruolo della visione come esperienza se non sensibile, e dunque posta sulla via della sperimentazione ripetibile, dell’immaginazione: "Se v'ha una caratteristica del filosofare, è quella di occhi aperti e fermi che non battan ciglio di fronte alle più sbalorditive visioni. [...] Se questa visione è il proprio dissolvimento [...] procurato dalle proprie mani, visto chiaro coi propri occhi: non v'ha infatti altri occhi che possano vederlo."[75] Carabellese non credeva nell’esperienza sperimentale dello spirito.

 

 



[1] I rapporti non solo teoretici che intercorsero tra Carabellese e Gentile sono noti (Carabellese prese parte attiva allì’Enciclopedia Italiana Treccani diretta da Gentile, e ne sposò la nipote),  qui ci limiteremo a inquadrare i motivi di quella che può essere definita la più generale polemica Carabellese-Gentile.

[2] La prima edizione, del 1921, per la prima volta mette a fuoco il concetto di Concreto,  la seconda ha di fondamentale la Prefazione, in cui, adducendo i motivi del proprio neokantismo in rapporto al Kant metafisico e operando l’importante distinzione tra l’esperienza empirica – o “naturale” – e l’esperienza dell’essere, Carabellese fa il salto nell’idealismo, la terza, del 1948,  ha nella prima di copertina una citazione di Plotino e rimanda a Platone, mentre  il Capitolo VII – Il Soggetto Universale, rifatto appunto per l’edizione del 1948, è fondamentale ai fini della seconda polemica Carabellese-Gentile-Varisco.

[3] E' Carabellese stesso a chiarire nella n. 1 di p. 221 dell'Appendice III La pedagogia nell'attualismo al suo L'idealismo italiano. Saggio storico-critico,,  I ed. Loffre­do, Napoli, 1938, II ed. con aggiunte, Edizioni Italiane, Roma, 1946 (che è quella a cui faremo riferimento), pp. 221-39, quali sono i luoghi del suo incontro col pensiero di Gentile: l'opera La teoria della  percezione intellettiva di Antonio Rosmini cit.,  dalla Tesi e con Prefazione di B. Varisco, del 1907, e poi i due articoli polemici Intuito e sintesi primitiva in A. Rosmini, in "Rivista di Filosofia", a. III, fasc. I, Formiggini, Modena, 1911, pp. 78-96, e La potenza e l'intuito come potenza nell'ideologia rosminiana, in "Rivista di Filosofia", a. IV, fasc. I, Formiggini, Modena, 1912, pp. 1-36.  Ne L'idealismo italiano invece, dedica all'analisi dell'attualismo il cap. VII Il neohegelismo italiano contemporaneo, pp. 105-136 e l'Appendice III La pedagogia nell'attualismo, costituita da I La pedagogia come filosofia (recensione al I vol. di G. Gentile, Sommario di pedagogia come scienza filosofica, vol. I: Pedagogia generale, Laterza, Bari, 1913, recensione già pubblicata in "Logos", vol. I, fasc. I, Perugia, 1914) e da II La didattica  (recensione al II vol. della medesima opera gentiliana: La didattica, recensione già pubblicata in "Il Conciliatore", a. II, fasc. II,  Torino, 1915). Ma come diremo nel testo, c’è anche un luogo specifico nella terza edizione del 1948 della Critica del Concreto dedicata ancora alla polemica sul Soggetto, che coinvolge anche Varisco: vedi  pp. 145-77 di questa terza edizione, posteriore a L’idealismo italiano. Per i luoghi carabellesiani del rapporto teoretico Carabellese-Rosmini, e per un approfondimento del significato dello scontro Carabellese-Gentile rispetto all’interpretazione di Rosmini,  riman­diamo invece al par. 5 su I maestri di Carabellese di questo scritto.

[4] Semerari, ricordando come Gentile considerasse il neokantismo “più schietta filologia che filosofia" e ribadisse che l'ideali­smo era "la sola prosecuzione legittima del criticismo kantiano", riprende dal Gentile della Storia della filosofia italiana, Firenze 1969, vol. II, p. 478, un "discorso perentorio, che si poneva come un “aut-aut" e che  "riguardava Filippo Masci, neokan­tiano e primo maestro di filosofia di Carabellese" : "<<Dopo Kant bisogna risolversi: o l'apriori è tutto, e la materia si dilegua “[...] O assoluto idealismo o assoluto realismo. O gnoseologia o psicologia>>.". Cfr. G. Semerari, La sabbia e la roccia cit., p. 13, laddove è da notare che in un suo intervento in un convegno su Ernesto de Martino, Fulvio Tessitore ha posto un analogo aut-aut tra ontologia e antropologia. A mio parere, confortato da Carabellese, si tratta in questo come in quel caso di livelli distinti e compresenti sia di lettura che di articolazione dell’Essere, per cui idealismo e realismo sono da intendere coincidenti se intesi in senso attuale.

[5] Cfr. P. Carabellese, Intuito e sintesi primitiva in A. Rosmini cit., pp. 81-84.

[6] P. Carabellese, Intuito e sintesi primitiva in A. Rosmini cit., p. 79

[7]  E nasce, lo sappiamo oggi, appena gamete maschile e femminile si incontrano e si fondono.

[8] Carabellese cita di Gentile la Recensione alla pubblicazione della propria Tesi  La teoria della percezione intellet­tiva in A. Rosmini cit., in "La Critica", Anno VII, fasc. IV, lugl. 1909.

[9] P. Carabellese, La potenza e l'intuito come potenza nell'ideologia rosminiana, in "Rivista di Filosofia", a. IV, fasc. I, genn.-febbr. 1912, pp. 1-39.

[10] A questo proposito vorremmo ricordare di G. C. Atzei, S. Babolin, A. Boccanegra, L. Bugliolo, G. Contadini, G. L. Brena, G. Cenacchi, B. D’Amore, C. Fabro, J. B. Lotz, U. Pellegrino, A. Rosso, Il problema del fondamento, Atti del IV Convegno dei docenti italiani di filosofia nelle Facoltà, Seminari e Studentati religiosi d’Italia, “Sapienza. Rivista internazionale di Filosofia e di Teologia”, Anno XXVI, nn. 3-4, Luglio-Dicembre 1973.

[11] P. Carabellese, Intuito e sintesi primitiva in A. Rosmini cit., p. 89-93, vedi anche n.2 di p. 95, in cui si ribadisce che l’idea dell’ente è fondamento, ed è fondamento del sistema rosminiano.

[12] Cfr. G. Semerari, La sabbia e la roccia CITARE?,  pp. 13-17, in partc. p. 14 sg., e p. 24.

[13] P. Carabellese, Il soggetto universale, in Id., Critica del Concreto, I ed. Libreria Pagnini, Pistoia, 1921, II ed. riv., Signorelli, Roma, 1940, III ed. riv. e ampl. per il progetto dell'ediz. delle Opere complete di Pantaleo Carabellese, Serie I: Primi saggi di ontologismo critico (oltre quest'opera uscì sol­tanto Da Cartesio a Rosmini, 1946), Sansoni, Firenze, 1948, cap. VII, PP. 145-77, in partc. P. 150, p. 162-63, p. 168, citaz. pp. 148-49, che è quella a cui faremo riferimento. (Nell'ultima di copertina della Critica del Concreto è stampato il piano completo delle opere, di cui alcune inedite).

[14] Sul piano gnoseologico, il significato della coscienza secondo Carabellese consiste, per il “vero” Kant, nella sintesi soggetto-oggetto, sintesi che non è, come vorrebbero certe interpretazioni del kantismo, un aposteriori dell’attività del soggetto, ma un apriori. 

[15] Ci è sembrato infatti di poter rilevare in tutto il pensiero metafisico di Carabellese, testimoniato dagli schemi grafici tridimensionali da lui apposti alla fine del suo sistema,  un criterio che scindesse hegelianamente la realtà in triadi a partire da un punto zero posto al centro di assi ortogonali cartesianamente intesi: è qui,  nel superamento tutto da scoprire di tale schema cartesiano a croce che ancora involve la realtà in contraddizioni anche violente, che noi vediamo col futuro neorazionalismo il superamento delle scissioni dualistiche ancora presenti nel pensiero di questi autori.

[16] P. Carabellese, Il neohegelismo italiano contemporaneo, in Id., L'idealismo italiano. Saggio storico-critico cit.,  cap. VII, n. 1 di p. 135.

[17] Ci rifacciamo anche a Wittgenstein, che considera la visione dell’io necessaria affinché si dia un mondo,  per cui, secondo l’ultimo Sini, è l’io che comprende il mondo e non il mondo che comprende l’io.

[18] Ibidem, QUALE IBIDEM? CONTROLLARE p. 116.

[19] Cfr. P. Carabellese, La pedagogia nell'attualismo, in Id., L'idealismo italiano cit., pp. 222-24

[20] P. Carabellese, Il neohegelismo italiano contemporaneo cit., p. 109.

[21] Ibidem, p. 110.

[22] Ibidem, pp. 112-15.

[23] Ibidem, p. 123.

[24] Ibidem, p. 125 sg.

[25] Ibidem, p. 127.

[26] Ibidem, n. 1, p. 135.

[27] Cfr. G. Semerari, La sabbia e la roccia cit.,  Nota introdutti­va cit., pp. II sgg.

[28] Ciononostante questo allineamento con gli impulsi più vitali che dentro e fuori d'Italia animavano il passaggio tra Ottocento e Novecento e più ancora il Novecento filosofico europeo non deve far pensare a una figura di pensatore piattamente inserita nell'orizzonte sia pur vivo del suo tempo. Ché anzi i suoi rap­porti teoretici con le linee di tendenza del panorama filosofico italiano dell'epoca furono anche improntati alla presa di distan­za piuttosto che alla ricerca di un terreno comune, quando non piuttosto alla polemica. Sicché può dirsi che, nonostante si possa parlare di un lascito carabellesiano tuttora vivo nei suoi allievi più diretti, nondimeno egli si staglia rispetto alle correnti filosofiche della sua epoca in una posizione di controcanto che ne ha fatto per molti versi un pensatore solitario convinto  portatore di una nuova scuola, e che perciò si rispec­chiava con difficoltà in qualsivoglia corrente di pensiero della sua epoca, pur non negando, ma anzi riconoscendo, il suo debito verso quei maestri che identificò come propri e sui quali ci soffermeremo nel par. 5 di questo scritto.

[29] Cfr. P. Carabellese, L'idealismo italiano cit., p. 21, conti­nuaz. di n. 1 di p. 20.

[30] Per l'affermazione del vero idealismo come idealismo concreto, si fa riferimento a P. Carabellese, Da Cartesio a Rosmini cit., p. 249, dove dice "[...] il mio ontologismo critico o idealismo concreto [...]", e p. 254, dove afferma che l'Enciclopedia hege­liana non è "[...] concretamente idealistica [...]."

[31] E' proprio il problema del rapporto tra verità oggettiva e certezza soggettiva, ossia su come sia possibile dal punto di vista soggettivo essere certi della verità oggettiva, quello che secondo Carabellese connota il pensiero moderno  e la cui solu­zione segna la scissione della riflessione filosofica in due distinte linee fondamentali: la linea oggettivistica propria della filosofia dell'essere e la linea soggettivistica propria della filosofia del conoscere, alla quale Carabellese ascrive Cartesio, Kant e Fichte, e nella quale mostra come la linea oggettivistica sia rispuntata qua e là con intuizioni e scoperte poi abbandonate. Ad esempio, in Cartesio è fondamentale la sco­perta del cogito Deum, scoperta metafisica in quanto pone la spiritualità divina nella coscienza soggettiva, ossia la sostan­zialità spirituale in me pensante. Questa deviazione dalla filo­sofia del conoscere dovrebbe spingere Cartesio ad abbandonare l'idea della sostanzialità della materia (la res extensa), che è idea ingenuamente realistica di derivazione scolastica (esse in mente e esse in re) e che lo conduce al dualismo. Cfr. M. Anna Rocchi, Pantaleo Carabellese storico della filosofia, Schena, Fasano, 1988, cap. VI, passim.

[32]  Alla concezione carabellesiana della Coscienza abbiamo dedicato un intero capitolo della nostra Dissertazione di Dottorato. Qui ci sembra opportuno, per la comprensione del discorso, dire che a proposito dell'identificazione carabellesiana di Essere e Coscienza, Semerari nota acutamente che l'essere non è il realistico essere fuori della coscienza, ma esigenza primor­diale della stessa coscienza, si potrebbe dire esigenza dell'og­gettivarsi dell'Idea. Cfr. G. Semerari, La sabbia e la roccia, Nota introduttiva cit., passim. In questa concezione, e qui più che altrove secondo il nostro punto di vista, si attua la salda­tura del pensiero carabellesiano col pensiero hegeliano che stiamo sperando di mettere in luce, a partire dal concetto di Idea come "Dio prima della creazione", a finire all’io come Quanto dell’Essere passando per il concetto di realtà nel superamento della separazione tra essere e apparire. Ma soprattutto, tornando alla coincidenza-identificazione di un determinato livello dell’Essere con la Coscienza, si dovrebbe intendersi e non confondersi sulla latitudine e il campo semantico da attribuire al termine coscienza in Carabellese, che talvolta è usato in riferimento al soggetto come coscienza soggettiva, talaltra, il più, in ambito prettamente metafisico, come più pregnantemente era nelle inten­zioni di Carabellese: la Coscienza è l'Uno-Tutto, dunque gli uomini appartengono alla Coscienza, e non la Coscienza, ma la coscienza, agli uomini. Il piano trascendentale è sempre risolvi­bile per Carabellese nel piano metafisico.

[33]  Per tutta questa argomentazione si rimanda a P. Carabellese, L'idealismo italiano cit., passim, poi alle già cit. Prefazione e Introduzione, al cap. I, e in partc. alle pp. 38-45 e 50-51.

[34] Mentre secondo la conoscenza comune Bernardino Varisco incen­trò il suo Scienza e opinioni, del 1901, sulla sua prima conce­zione positivistica del problema dell'atto conoscitivo in senso psico-fisico,  Carabellese invece  vede quest'opera come la prima autocritica del Positivismo in Italia, considerando quindi come suo maestro il Varisco spiritualista e antineoidealista espressosi a partire  da La Conoscenza, 1905, ma abbandonandolo poi dichiaratamente nel 1936 soprattutto per il varischiano rigetto, dovuto al raggiunto teismo (con il Sommario di filosofia, 1928, e il postumo Dall'uomo a Dio, 1939) del precedente immanentismo e pluralismo coscienzialistico, che pur salvava l'individualità del soggetto con l'autolimitazione del soggetto assoluto.

[35] Carlini, che con Carabellese ebbe un’altra dolorosa polemica sull’ateismo, in questa polemica attribuì come maestri a Carabellese Varisco e Gentile, Carabellese rispose che egli si sentiva debitore nei confronti di Rosmini e Kant. Cfr. Armando Carlini, Orientamenti e problemi speculativi del pensiero filosofico nell'età presente, in "Gior­nale critico della filosofia italiana", fasc. 1-2, 1936, pp. 44-45, e P. Carabellese, Risposta a Carlini, in "Giornale critico della filosofia italiana", fasc. 6, 1936, poi rist. come app. VI in Id., L'idealismo italiano cit., II ed., 1946, pp. 275-84.

[36] Si laureò nel 1900 con una tesi in Storia: il relatore era Giuseppe De Blasiis, "patriota e combattente nella guerra di Crimea, Segretario della Società Napoletana di Storia Patria, amico di B. Croce", l'argomento era il papato in età medievale, la tesi fu successivamente pubblicata con il titolo Sulla vetta ierocratica del Papato. Idee, fatti, intuizioni, Sandron, Milano-Palermo-Napoli, 1910. Cfr. M. A. Rocchi, Pantaleo Carabellese storico della filosofia cit., pp. 1-3.

[37] Le virgolette riportano espressioni di G. Semerari, La sabbia e la roccia cit., in partc. p. 14. Per il rapporto Masci-Carabellese, cfr. Edmondo De Liguori, Il problema interno della filosofia in Pantaleo Carabellese, Bulzoni, Roma, 1988, pp. 25-29, in cui De Liguori approfondisce il discorso partendo da Semerari.

[38] G. Semerari, “L'ontologismo critico di P. Carabellese. Genesi e significato”, in AA.VV.,  Pantaleo Carabellese, il <<tarlo del filosofare>> cit., pp. 22 sgg.

[39] Sul pensiero del maestro Carabellese scrisse, come ricorda nella n. 1 p. 241 del suo L'idealismo italiano cit., oltre al già cit. L'Essere e il problema religioso, Laterza, Bari, 1914, anche Il pensiero filosofico di Bernardino Varisco, già discorso pronunciato all'Università di Roma nel 1926 in occasione del Giubi­leo in onore di Bernardino Varisco  a cui partecipò anche Giovanni Gentile, stampato in "Giornale critico della filosofia italia­na", fasc. IV, a. VII, 1926, poi rist. in App. IV a P. Carabelle­se, L'idealismo italiano cit., II ed. 1946, Il pensiero pedagogi­co di Bernardino Varisco, (recensione a B. Varisco, La scuola per la vita. Scritti pedagogici, II ed. Venezia, 1927), in "Giornale critico della filosofia italiana", fasc. VI, a. VIII, 1927, poi rist. in Ibidem, Bernardino Varisco, in Annuario della Reale Università degli Studi di Roma, A.A. 1933-34, poi rist. col titolo La personalità speculativa di B. Varisco in Ibidem (i tre saggi, I, II, III, che compongono l'App. IV sono alle pp. 241-63), e infine Bernardino Varisco, voce in Grande Enciclopedia Italiana, Treccani, 1937. Per tutta l'argomentazione da qui svolta sui rapporti tra Carabellese e Varisco si fa riferimento a questi saggi. Per le lettere al maestro, Cfr. F. Bonatelli, R. Ardigò, G. Vailati, F. Juvalta, G. Gentile, F. De Sarlo, P. Carabellese, P. Martinetti, Lettere a Bernardino Varisco (1867-1931). Materiali per lo studio della cultura filosofica italiana tra Ottocento e Novecento, a cura di Massimo Ferrari, Firenze, 1982. Per un’analisi de L’Essere e il problema religioso si rimanda a Furia Valori, Saggio introduttivo a Pantaleo Carabellese, L’Essere e la sua manifestazione. Parte Seconda. Io, pp. 16-28, che inoltre riteniamo molto utile, come si vedrà, ai fini del sostegno della nostra tesi che Carabellese voglia radicalizzare l’Io penso Kantiano.

[40] R. Sabarini, Dalla critica alla metafisica: P. Carabellese, in Id., Criticismo e metafisica, Editoriale Arte e Storia, Roma, 1953, pp. 89-90, che considero ricco di stimoli.

[41] Cfr. P. Carabellese, L'idealismo italiano cit., App. IV La filosofia di B. Varisco, I. Il pensiero filosofico, p. 244.

[42] Cfr. Pantaleo Carabellese, L’attività spirituale umana. Prime linee di una logica dell’essere, a cura e con Introduzione di Edoardo Mirri, Pubblicazione dell’Università degli Studi di Perugia, Facoltà di Magistero, Istituto di Filosofia, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1991, p. 138. E’ la ristampa delle dispense universitarie del corso di Filosofia Teoretica tenuto da Carabellese nell’A.A. 1947-48 all’Università degli Studi di Roma, I ed. e I rist. postuma 1948.  Su tutta la tematica dell’”uomo pensante che vive”, della soggettività  plurale e dell’attività spirituale umana si sono infatti mossi a partire dagli anni ’90 i lavori sia di pubblicazione degli inediti metafisici carabellesiani sia di riflessione teorica di Edoardo Mirri nel cit. L’attività spirituale umana; e Furia Valori, L’uomo pensante che vive, Pubblicazione dell’Università degli Studi di Perugia, Facoltà di Magistero, “Quaderni dell’Istituto di Filosofia”, n. 12, s.d. (1996); Idem, Il problema dell’io in Pantaleo Carabellese, Pubblicazione dell’Università degli Studi di Perugia, Facoltà di Magistero, Istituto di Filosofia, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1996; Idem (a cura di), Pantaleo Carabellese, L’essere e la sua manifestazione. Parte Seconda. Io, Pubblicazione dell’Università degli Studi di Perugia, Facoltà di Scienze della Formazione, Istituto di Filosofia, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1998.

[43] Cfr. Pantaleo Carabellese, L’idealismo italiano cit., App. IV La filosofia di B. Varisco,  III. La personalità speculativa, pp. 260-63.

[44] Il pensiero di Varisco, secondo Carabellese, mira alla giusti­ficazione della religione. Questo avviene in tre momenti distinti che sono in correlazione: l'opposizione tra sentimento religioso e ragione, l'espressione di tale sentimento in termini razionali per cui Dio diviene assoluto Pensiero come assoluto Essere (dot­trina varischiana del valore) e la dimostrazione razionale di Dio nella sua oggettiva necessità, che comporta il superamento completo dell'iniziale opposizione tra ragione e sentimento e l'as­sorbimento di questo nella ragione, che così ne dimostra l'ogget­to.

44 Quest'accordo Carabellese, seppure in tutte le sue lacerazioni, non lo ha mai cercato, portando avanti un pensiero prettamen­te filosofico libero dall'osservanza ai dogmi, e lo ritrova, oltre che in Varisco, anche in Gentile, il cui attualismo vede come una trasposizione in termini filosofici del dogma cristiano. Ma ci è sembrato di poter suggerire che pur nella ricchezza delle ascendenze mistico-orientali del pensiero filosofico-religioso occidentale di cui Carabellese va in cerca operando di fatto uno spostamento a Oriente della teologia nelle sue radici sempre più da approfondire, lo sguardo carabellesiano resti nonostante tutto ancorato a una visione  ancora troppo occidentalocentrica – in ciò storica -, in cui il Cristianesimo si pone come perno e punto di arrivo anche nella filosofia contemporanea e nella sua propria filosofia, ricca di riferimenti ai suoi dogmi anche nella sua non istituzionalità.

[46] Cfr. Pantaleo Carabellese, L’idealismo italiano, App. VI Risposta a Carlini cit., p. 276 sg.

[47] Cfr. Ibidem, II. Il pensiero pedagogico, p. 252.

[48] Sul pensiero di Spinoza Carabellese scrive Il concetto spinoziano dell'errore, in Septimana spinoziana, The Hague-Martinus Nijhoff, 1932, poi rist. in Id., Da Cartesio a Rosmini. Fondazione storica dell'ontologismo critico, Sansoni, Firenze, 1946. Ma il riferimento a Spinoza, seppur raro, è presente anche in altri saggi, mentre Giuseppe Pinto, in Pantaleo Carabellese, in "Giornale critico della filosofia italiana", a. XXVIII, Terza Serie, vol. III, fasc. I, genn.-mar. 1949, p. 10, parla di quattro corsi inediti su Spinoza che Carabellese tenne all'Università di Roma sulla Cattedra di Storia della Filosofia che Carabellese ricoprì dal 1929.

[49] La riflessione carabellesiana sul pensiero di Cartesio ci ha lasciato: Il circolo vizioso di Cartesio. Nota di Pantaleo Cara­bellese, estratto da Rendiconti della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche della Reale Accademia Nazionale dei Lin­cei, Bardi, Roma, 1938, Sez. VI, vol. XIII, fasc. 11-12, pp. 471-532, poi rist. come cap. II in Id., Da Cartesio a Rosmini cit., pp. 31-101; Cartesio e Vico, in Problemi e discussioni della Reale Accademia Nazionale dei Lincei, Classe di Scienze morali, storiche e filologiche,  Bardi, Roma, 1938, fasc. II, poi rist. come App. I Essenza del vichismo in Id., L'idealismo italiano cit., II ed. 1946, pp. 207-212; La riconquista del cartesianesi­mo, conferenza inclusa nel ciclo organizzato dalla Sezione Pie­montese dell'Istituto di Studi Filosofici, tenutosi nel 1942 presso l'Istituto di Filosofia dell'Università di Torino e poi raccolto nei 2 voll. AA.VV., L'attualità dei filosofi classici. I: Filosofia antica e medievale, II: Età moderna, a cura di A. Guzzo, Bocca, Milano, 1943, pp. 1-20, poi rist. come cap. I in P. Carabellese, Da Cartesio a Rosmini cit., pp. 1-29; Le obbiezioni al Cartesianesimo, Casa ed. D'Anna, Messina-Città di Castello, 1946, 3 voll.: I: L'idea, II: La dualità, III: Il metodo.

[50] P. Carabellese, La riconquista del cartesianesimo cit., p. 11.

[51] Allo studio del pensiero di Rosmini, oltre alla Tesi e ai già ricordati a proposito della polemica con Gentile Intuito e sinte­si primitiva in Antonio Rosmini, 1911,  e  La potenza e l'intuito come potenza nell'ideologia rosminiana, 1912, sono dedicati: L'elemento categorico kantiano nell'ideologia rosminiana, in AA.VV., Atti del IV Congresso internazionale di filosofia tenutosi a Bologna nel 1911, Formiggini, Modena, 1912-16;  Originalità storica e attualità speculativa del pensiero filosofico rosminia­no, Bocca, Milano, 1940, rist. anche, nello stesso anno, in AA.VV., Studi rosminiani, sempre Bocca, e poi, col titolo Origi­nalità e attualità di Rosmini, in P. Carabellese, Da Cartesio a Rosmini cit., cap. VIII, pp. 227-257; Il problema filosofico di Rosmini, Signorelli, Roma, 1941.

[52] Sul Tema La critica di fronte all'ontologismo si svolse un'intera sezione del Congresso, la seconda, di cui ora si parlerà nel testo. Cfr. AA.VV., Atti del XIV Congresso Nazionale di Filosofia, Secondo Tema: La critica di fronte all'ontologismo,  DA CITARE , pp. 249-428.

[53] A. Beccari, Tentativi di metafisica critica: l'ontologismo del Carabellese, in AA.VV., Atti del XIV Congresso Nazionale di Filosofia cit., pp. 263-270.

[54] G. Bontadini, “Osservazioni sull'ontologismo di P. Carabellese”, in AA.VV., Atti del XIV Congresso Nazionale di Filosofia cit., pp. 283-304.

[55] L’essere Rosmini interno o meno a questa corrente di pensiero è tra l'altro oggetto delle relazioni di Gianfranco Bianchi e di Paolo Dezza. Cfr. G. Bianchi, La critica di fronte all'ontologi­smo in P. Galluppi, A. Rosmini, V. Gioberti e in Giovanni Maria Bertini, e P. Dezza, L'ontologismo di A. Rosmini e la critica di S. Sordi, ambedue in AA.VV., Atti del XIV Congresso Nazionale di Filosofia cit., rispettivamente alle pp. 271-82 e 335-40.

[56] Anche Carabellese dunque partecipò al Congresso. Cfr. P. Carabellese, Dalla critica all'ontologismo critico, in AA.VV., Atti del XIV Congresso Nazionale di Filosofia cit., pp. 309-318.

[57] A. Devizzi, La critica di P. Matteo Liberatore all'ontologismo cit., in AA.VV., Atti del XIV Congresso Nazionale di Filosofia cit., pp. 331-334.

[58] Non si può non intravvedere in ciò la vicinanza con l'intuizione immediata dell'Assoluto che Hegel attribuisce come compito all'intuizione trascendentale, che si libera dalla restrizione kantiana all'ambito gnoseologico e alle forme dello spazio e del tempo per assumere un ruolo euristico nella metafisica.

 

[59] P. Carabellese, Originalità e attualità di Rosmini cit., in Id., Da Cartesio a Rosmini cit., pp. 227-257.

[60] Ibidem, pp. 232-33.

[61] Ibidem, p. 234-36, p. 242.

[62] Si aprirebbe qui una bellissima direzione di ricerca tesa a dimostrare la coincidenza possibile in infinitum tra, nell’ordine acsendente, essere pensabile, essere possibile, essere oggettivo, essere necessario, essere reale, coincidenza possibile nel momento in cui si consideri da un lato lo spostamento in avanti del limite del pensabile, e di conseguenza del limite del possibile e del reale, dall’altro l’allargamento del campo di ciascuno di questi ambiti.

[63] Ibidem, P. Carabellese, Originalità e attualità di Rosmini cit.???,  p. 255.

[64] Cfr. B. Varisco, Tra Kant e Rosmini. A proposito del libro di P. Carabellese: La teoria della percezione intellettiva in A. Rosmini, in "Rivista di filosofia", n. 1, Formiggini, Modena, 1909.

[65] P. Carabellese, Originalità e attualità di Rosmini cit., in Id., Da Cartesio a Rosmini cit., p. 244.

[66] G. Semerari, La sabbia e la roccia cit., pp. 14-15.

[67] P. Carabellese, Originalità e attualità di Rosmini cit., in Id., Da Cartesio a Rosmini cit., pp. 250-51.

[68] Ibidem, pp. 250-52.

[69] Ibidem, p. 247

[70] Vogliamo sottolineare questa felice espressione di Raniero Sabarini, Criticismo e metafisica cit., passim.

[71] P. Carabellese, Originalità e attualità di Rosmini, in Id. Da Cartesio a Rosmini cit.,  p. 252.

[72] P. Carabellese, Che cos'è la filosofia? cit., p. 242.

[73] P. Carabellese, Critica del concreto cit., Prefazione alla II edizione, p. XVII.

[74] Ancora P. Carabellese, Che cos’è la filosofia? cit., p. 242.

[75] Ibidem, p. 183.

HOME PAGE NEXT PAGE f_entebk.gif (14663 byte)  

Se vuoi scrivi un  commento  nel Libro degli Ospiti

 

All M.C. Escher works (c) Cordon Art-Baarn-the Netherlands. All rights reserved. Used by permission.