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Ermeneutica
e simbologia del sacro nell’esperienza estetica Perche
ermeneutica e simbologia del sacro, in un mondo completamente
secolarizzato? Mentre secondo il Rosmini di
un recente simposio di estetica, il bello è esecuzione perfetta di un
tema mentale che l’artista produce e che gli fa da guida ideale
nella creazione artistica, essendo il tema mentale dell’artista
derivato dall’archetipo dell’ente, secondo
W. Benjamin l’esperienza estetica consiste in una dinamica distinzione
tra bellezza e apparenza, laddove l’apparenza, quando prende il
sopravvento e non resta limitata al suo campo transeunte e caduco di
mera funzione e mero strumento della bellezza, diviene demoniaca,
oltrepassando il confine della beatitudine che l’esperienza estetica
porta con sé nella sublimazione e nella trascendenza dell’uomo in una
dimensione, sia essa laica che religiosa, esclusivamente spirituale. Le
arti, sia quelle figurative e visive, sia la musica, costituiscono il
mezzo per l’accesso a una dimensione in cui si manifesta la natura
spirituale e superiore dell’essere umano, nel senso che attraverso le
arti vi è un trascendere dell’umano nel divino, una sublimazione
della storia, ossia del tempo, nell’eterno senza tempo,
un’apparizione del sacro nel profano – dove qui per sacro non si
intende ciò che appartiene all’esperienza religiosa strictu
sensu, ma ciò che appare in una luce sacrale, ciò che trascende il
limite empirico dell’umano sentire, ponendolo in una dimensione di
libero volo spirituale. Le
arti operano una potente trasfigurazione del reale, e nell’opera
d’arte l’artista, attraverso il fenomeno che crea, attinge alla
autenticità del fondamento, che è un fondamento ontologico, ossia
oggettivo: la creazione è sì dell’uomo e non certamente mera copia
della natura, ma è anche stravolgimento delle regole del reale, occhio
– per le arti visive – che distoglie dalla funzione meccanica e
transeunte della cosa oggetto dell’opera d’arte
per ascendere, attraverso il fenomeno arte, all’autenticità
del fenomeno ente, in un movimento dinamico dello spirito, sia
dell’artista che dello spettatore, tra mistero e rivelazione della
bellezza nell’oggetto d’arte, che si fonda in prima istanza,
attraverso la percezione, sull’intuizione e sull’irrazionale. Ma qui
irrazionale non vuole sottendere ciò che non ha logica, ciò che è
avulso dalla ragione, perché piuttosto anche l’irrazionale ha una sua
logica (se non si vuole trovare una logica nelle regole
dell’esecuzione dell’opera d’arte), la logica dell’immaginazione
e dell’intuizione, appunto, che attinge al mondo delle essenze, alla
bellezza originaria del platonico mondo delle idee, al tipo, al modello,
all’esemplare che si vede e che ci sfugge nella normale dimensione
dell’esistere, ma che si rivela nella fruizione dell’opera d’arte,
in un dinamismo in cui la meraviglia e la capacità di meravigliarsi
giocano un ruolo determinante, tra meraviglioso - del bello artistico
– e meravigliato – dell’artista e del fruitore. Allora
l’irrazionale così inteso implica un ampliamento del concetto di
coscienza a partire da Cartesio (idee chiare e distinte), Kant (forme
dell’intuizione e categorie dell’intelletto nella Ragion pura),
Hegel (logica della storia, fenomenologia dello spirito-coscienza, notte
della conservazione e prima apparizione della parola “inconscio”),
Freud (studio dell’inconscio), Jung (inconscio collettivo), Geometrie
non euclidee (irrazionale), ermeneutica (allargamento del concetto di
linguaggio in tutti i linguaggi possibili come espressioni tutte
democraticamente e politicamente significanti) e infine, ai giorni
nostri, ricerca di una logica dell’irrazionale a partire dalla Critica
del Giudizio di Kant e dall’estetica kantiana (Marco Sgarbi, 2010). E’
necessario però un percorso iniziatico della percezione, e in
particolare dello sguardo e dell’orecchio, ossia di crescita di tutto
l’animo dello spettatore, per oltrepassare il mero empirico, del
sensibile, e entrare nel regno dell’oltre-empirico,
dell’ultrasensibile: vi è bisogno di un’educazione continua e non
solo estrinseca ma anche interiore, personale, di uno sforzo individuale
a vedere oltre il dato, e tale percorso è cognitivo-emozionale, e non
soltanto sentimentale: comprendere l’arte significa addentrarsi nel
mondo complesso polimorfo e polisemico dell’arte, conoscere l’arte,
e l’intelletto e la ragione vi sono non meno implicati che la
percezione e la sensazione: il sentimento del bello è secondo la
sofiologia (scienza del sapere) di S. N. Bugalkov un sentimento
sofianico, ossia un sentimento specifico che è al tempo stesso
percettivo, cognitivo, sapienziale. Ma in quale senso sapienziale? Di
quale sapienza, di quale sapere si tratta? Qui per sapienza si intende
un sapere che attinge a ciò che Hegel chiama la “notte della
conservazione”, ossia un oscuro abisso, un inconscio, vuoi collettivo
alla Jung, vuoi individuale alla Freud, che dall’oscura profondità
dell’essere (per il verso oggettivo), e dello spirito (per il
lato soggettivo), fa emergere un nuovo aspetto del reale, un reale
virtuale che sta lì solo per essere scoperto e portato alla luce,
perche la realtà dell’essere è comprensibile e attraversabile da
infinite linee di conoscenza dell’umano, che
lo sguardo quotidiano distratto dal mondo del transeunte non coglie. L’armonia
del bello artistico, che è armonia derivante da un senso di compiutezza
e di totalità che ogni singola opera d’arte ha, e il cui significato
costituisce l’analogia con l’archetipo, rimanda perciò
all’armonia del cosmo, e dona allo spettatore un senso di calma
speranza, oppure di tumultuoso entusiasmo, o ancora di profonda
disperazione, sentimenti e emozioni generantisi dal contenuto
dell’opera d’arte, sentimenti e emozioni diversissimi, e che tutti,
insieme a tutti gli altri possibili al cospetto del bello artistico,
provocano la catarsi dello spirito. Infatti tre sono notoriamente i
movimenti dinamici che si attuano nel momento dell’esperienza
artistica nello spettatore al cospetto dell’opera d’arte: la
percezione o aisthesis, la poiesis o produzione ( di un particolare
sentimento sofianico), e la catarsi, che produce un sentimento di
liberazione ed elevazione dello spirito. Allora anche le arti, e in
particolare la musica in quanto la più diafana delle arti, quella che
ha meno contatto col mondo della materia, divengono simbolo, simbolo di
altro, voce del divino, e studiare il simbolo in generale significa
comprendere l’arte in questo suo specifico aspetto o funzione, che è
funzione etica, ossia di elevazione spirituale di chi produce e di chi
fruisce arte, di chi vive e di chi si affaccia nel mondo dell’arte. In
questo senso l’arte, lontanissima dalla funzione meramente edificante
che sola svolge nelle varie religioni, e che ha contraddistinto - e
talvolta ancora contraddistingue - anche le nostre grandi opere d’arte
dell’epoca del mecenatismo delle grandi commesse religiose, si divide
molto più semplicemente in buona e
cattiva arte, o se si vuole pensare alla musica in buona e cattiva
musica, comprendendo la buona musica tutta la musica, in una totalità
che è trasversale rispetto ai singoli generi musicali, limitantisi ed
escludentisi a vicenda. Questa particolare accezione etica dell’arte,
che comprende evidentemente anche l’arte popolare, oltre a quella
tradizionalmente colta, è democratica, ossia è politica. Tre
sono i valori canonici della filosofia di platonica memoria: Bello Bene
Vero, laddove bellezza verità
e bontà sono oggettive e in
relazione con l’aspetto cognitivo del pensiero umano, mentre tutte
coincidono a un livello superiore nella unicità divina dell’Uno, per
cui estetica, morale, scienza si unificano nella metafisica, perche
tutte hanno presupposti superiori di livello conoscitivo ed esterni
rispetto al contenuto del loro campo di azione e di conoscenza. Vero
Bene Bello oltre che valori metafisici sono tre linguaggi in cui si
esprime appunto il sacro, e cosi concludiamo tornando circolarmente
all’ermeneutica del sacro.
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